Il centenario della Pallapugno, una storia di leggenda e poesia che racconta un intero territorio

9 aprile 2022 | 10:30
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Il centenario della Pallapugno, una storia di leggenda e poesia che racconta un intero territorio
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Il centenario della Pallapugno, una storia di leggenda e poesia che racconta un intero territorio
Il centenario della Pallapugno, una storia di leggenda e poesia che racconta un intero territorio

Compie 100 anni la Serie A del mitico sport oggi diffuso soltanto più in Piemonte e in Liguria. Una storia fatta di campioni immortali, aneddoti curiosi e una grande passione da parte di popolo e letterati.

La Serie A Banca d’Alba-Egea di pallapugno 2022 verrà ricordata come l’edizione numero 100 della massima serie del mitico sport, oggi purtroppo solo più sviluppato in Piemonte e in Liguria. Un traguardo importantissimo, che rende di fatto quello della pallapugno il secondo campionato sportivo più longevo del nostro Paese, dopo quello di calcio. Ma la storia di questa disciplina leggendaria, affonda le sue radici ben più in profondità, sia sotto l’aspetto storico che dal punto di vista dell’importanza che ha rappresentato per la gente, fino addirittura agli anni intorno all’Unità d’Italia.

Si può quasi dire che l’inizio dei campionati organizzati coincida con la fine della “fase mitica” del pallone elastico, con intere comunità che, prima di essere assoggettate alla febbre del re calcio e di altri sport minori ma molto importanti soprattutto in determinati territori (come può essere, a Cuneo, la pallavolo), affollavano gli sferisteri dei paesini e delle grandi città per assistere alle imprese dei loro beniamini, mai illuminati da riflettori abbaglianti né protagonisti di competizioni ufficiali, ma rimasti nel cuore delle comunità.

Non è un caso che nella Torino capitale italiana dello sport del 1897, quello che all’epoca era per distacco lo scrittore italiano di maggior successo di pubblico, Edmondo De Amicis, dedicò un libricino a quello sport che, fin da bambino, aveva accompagnato le varie tappe della propria esistenza. Gli azzurri e i rossi, questo il titolo dell’opera, non è però solo un pamphlet in cui vengono esposti i principali meccanismi del balon, ma è un volume di più ampio respiro, che si propone di raccontare soprattutto le straordinarie conseguenze sociali che la pallapugno portava naturalmente con sé e non solo presso il pubblico “provinciale”, fatto di contadini e artigiani desiderosi di svagarsi nel fine settimana, contemplando quello strano gioco, che il ligure De Amicis aveva avuto modo di conoscere da vicino nella sua infanzia trascorsa in larga parte a Cuneo, prima di trasferirsi a Torino, ma anche presso le “aristocrazie” delle principali città italiane dell’epoca. Ma lo scrittore di Cuore va ancora oltre: ravvisa nei movimenti dei giocatori e nei vari modi di colpire il pallone, un’intrinseca poeticità, figlia di un mondo semplice ma estremamente affascinante, che di fatto ha creato le prime vere tifoserie sportive del neonato Regno, con tanto di risse e battaglie verbali che si accendevano per un nonnulla sugli spalti degli sferisteri. Uno sport, tra l’altro, che è stato tra i primi ad aprirsi vigorosamente anche al pubblico femminile, con molte donne che affollavano gli spalti e che, spesso, ci dicono le cronache e lo scrittore imperiese, erano coinvolte nel gioco almeno quanto i loro mariti. Siamo nella Torino del 1897, anno di fondazione di una squadra di calcio di nome Juventus e vigilia del primo campionato nazionale di foot-ball. Quel calcio che contribuirà più di qualunque altro sport nazionale a confinare il balon nel solo nord-ovest italiano, fin dalle primissime edizioni del campionato di pallapugno.

Si arriva così al 1912, anno di fondazione del campionato nazionale di pallapugno. Nazionale, appunto, per modo di dire, dato che vi parteciparono soltanto quattro squadre, tre del cuneese (Alba, Mondovì e Ceva) e una ligure (che riuniva insieme i migliori giocatori della Regione). I monregalesi vinsero il primo dei loro quattro Scudetti consecutivi, fino al primo dei dieci anni di pausa della Serie A, dove non sono stati assegnati Scudetti, il 1916 (causa Prima Guerra Mondiale), cui seguiranno il 1931 (mancata organizzazione del campionato), gli anni tra il 1939 e il 1946 e il recentissimo 2020 (causa Covid-19). Durante gli anni del Fascismo la pallapugno perse buona parte del proprio appeal presso il pubblico, vittima del sempre maggior successo del calcio e delle cattive politiche in merito alla tutela degli sport minori da parte del Regime mussoliniano, che nel 1930 inserì il pallone elastico all’interno dell’Opera Nazionale Dopolavoro, stanziando però pochissime risorse per mantenere realmente sulla cresta dell’onda il balon. Nonostante ciò, la pallapugno fu praticata in questi anni anche da alcuni illustri esponenti del calcio azzurro, quali Vittorio Pozzo, ct della nazionale per due volte consecutive sul tetto del mondo, Renato Cesarini e Carlo Parola.

La svolta definitiva, quella che ha riportato per un paio di decenni la pallapugno ai fasti ottocenteschi, è arrivata non a caso nel Secondo Dopoguerra, specialmente negli anni del Boom. Sono gli anni di alcuni dei più grandi campioni di questo sport, quali il santostefanese Augusto Manzo, l’imperiese Franco Balestra e il gottasecchese Felice Bertola, recordman di scudetti vinti con 12 affermazioni totali. Sono gli anni d’oro del pallone elastico, con i resoconti delle partite che compaiono sui principali quotidiani, sportivi e non, e con gli sferisteri che tornano ad essere pieni. Indicativa in questo senso fu la finale di Torino del 1951 quando la sfida tra Augusto Manzo e Franco Balestra attirò nello sferisterio del capoluogo ben 5000 spettatori, lo stesso giorno in cui, poche centinaia di metri più lontano, si giocava il derby della Mole tra il Torino e la Juventus. Non mancarono poi momenti mitici, come quando nel 1955 a Fossano, l’ex campione della Juventus Felice Placido Borel, all’epoca allenatore della Fossanese, organizzò un’amichevole tra i calciatori e una squadra locale di pallapugno, vincendo la sfida per 7 a 4. La pallapugno tornò, insomma, ad essere lo sport prediletto di molte comunità, soprattutto nella provincia cuneese, come non accadeva dai tempi di De Amicis, spostandosi addirittura verso il professionismo. Nel 1953 Balestra firmò un contratto per la Sapet Torino che gli garantiva 500mila lire all’anno, cifra molto più bassa di quelle percepite dai calciatori ma incredibile se ragionata in termini odierni, con la maggior parte degli sport che non riescono a diventare professionistici.

In questo continuum di ascese e cadute del pallone elastico, i decenni successivi, in particolar modo gli anni ’80 e ’90, segnarono un nuovo brusco calo di interesse nei confronti del balon, con la stessa Serie A molto spesso confinata a semplice competizione tradizionale e folklorica, da conservare solo in virtù della sua storia e non tanto per un dilagante successo di pubblico. L’unica novità di un certo peso della fine del secolo fu l’inaugurazione dei campionati mondiali degli sport sferistici, che comprendono la pallapugno e diverse discipline sportive con essa imparentate, che nel 2004 si sono disputati in Italia, tra Imperia, Alba e Cuneo.

Che si parli dello sport dominante dell’Ottocento, delle origini del campionato di Serie A, del periodo fascista o del riemergere della passione per il pallone elastico anni ‘50 e ’60, la storia della pallapugno si interseca continuamente con la storia del suo territorio e, soprattutto della sua gente. Uno sport semplice e nobile allo stesso tempo, che unisce alla fatica di chi sta in campo, ben compresa ed esaltata dalla gente sugli spalti, la leggerezza e la poeticità dei movimenti della palla e dei giocatori, in un connubio difficilmente ottenibile altrimenti, nello sport come nelle “vite agre” dei provinciali otto e novecenteschi. Uno sport, insomma, che è molto più di una disciplina. È l’espressione di un popolo nell’arco di più di cento anni. I rimbalzi della palla, le contorsioni dei giocatori per indirizzarla, lo scricchiolio del tabellone che aggiorna il punteggio, sono forse i più immediati ed efficaci strumenti per raccontare il cuneese e il Piemonte dall’Unità d’Italia ad oggi. E quindi, buon anniversario e lunga vita alla pallapugno.

Le foto ritraggono rispettivamente: lo sferisterio albese gremito negli anni Cinquanta, un manifesto ottocentesco, Augusto Manzo, Franco Balestra e Felice Bertola in azione e il logo speciale creato dalla Serie A Banca d’Alba-Egea per celebrare il centenario della competizione.