L’antica cappella San Brizio appartiene ufficialmente al Comune di Busca

4 marzo 2022 | 13:31
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L’antica cappella San Brizio appartiene ufficialmente al Comune di Busca

In base ad una ricerca storica, san Brizio, con dipinti risalenti all’anno Mille, è rimasto proprietà comunale da Napoleone in poi. Con l’acquisizione ufficiale da parte del Comune, si possono cercare fondi per il restauro.

Il consiglio comunale di Busca ha approvato all’unanimità l’acquisizione da parte del Comune dell’antica cappella di san Brizio. Grazie alla consulenza dell’architetto Claudio Ellena, cui il Comune ha affidato uno studio, ne  è stata certificata l’origine, risalendo agli archivi storici e ora con l’acquisizione si  potrà partecipare a bandi per  finanziarne il restauro. “Fino ad oggi – spiega l’assessore Ezio Donadio  – non essendo chiara la proprietà, non abbiamo potuto avviare azioni ufficiali.  Sono soddisfatto della conclusione di questo percorso che seguo da  alcuni anni. Ringrazio per l’indispensabile collaborazione la professoressa Mirella Lovisolo”.

La  cappella di san Brizio si trova sulla collina di Morra San Bernardo ed era caduta in abbandono fino a quando, nel 2017, per iniziativa del Comune i volontari della Protezione civile comunale la ripulirono dai rovi sotto cui era ormai sepolta. Il manufatto risale all’alto medioevo ed è affrescata con la raffigurazione dell’Annunciazione a Maria. Intitolata al monaco del IV secolo che fu discepolo di san Martino e a lui succedette sulla cattedra vescovile di Tours, era appartenuta per un periodo ai monaci benedettini dell’abbazia di Villar San Costanzo ed era adibita a servizio della stazione pastorale dove i monaci lavoravano in distaccamento dall’abbazia.

Trattandosi di un edificio di culto, la proprietà avrebbe dovuto far capo alla Parrocchia territorialmente competente, ossia alla Parrocchia di Maria Vergine Assunta. Ma la ricerca effettuata dall’architetto Claudio Ellena è giunta ad una diversa conclusione. Egli ha analizzato vari documenti conservati nell’Archivio Storico della Città di Busca, in particolare l’inventario (1266-1967) e il fondo aggregato “Catasto”, i cui estremi cronologici vanno dal 1619 al 1996. Da questi documenti emerge che la cappella era registrata nel Catasto Napoleonico alla sezione (foglio) Y numero 609 (cfr. quadro di unione e sezione Y, Allegati 5 e 6). Nel registro catalogato al n.15 del 1803 “Classement parcellaire et evoluation des revenus imposables des proprietes foncieres de la section” (segnatura originaria: 26 – 1 registro, stato di conservazione buono) detto immobile viene definito come Chapelle S. Gabrielle con una superficie di 38 metri e di proprietà del “Commune” (cfr. Allegati 7a e 7b). La denominazione di “Chapelle S. Gabrielle” e non con i toponimi più noti cappella di san Brizio o Bricalet può essere giustificato dal fatto che nella parete di fondo della cappella è rappresentata un’Annunciazione. Pertanto, pur trattandosi di un edificio di culto, nel caso specifico l’unico documento in cui si cita la proprietà è il Catasto Napoleonico che definisce il fabbricato con un toponimo mai utilizzato prima “Chapelle S. Gabrielle”, ma con l’identificazione planimetrica corretta attribuendone la proprietà al Comune di Busca.

Fu costruita dai monaci – aveva avuto modo di scrivere la professoressa Lovisolo, esperta di storia dell’arte locale – in epoca altomedioevale, probabilmente intorno all’anno Mille: è citata per la prima volta nel documento del 1386 dove sono elencate le chiese che pagavano il cattedratico all’arcivescovo di Torino, una somma di denaro segno di dipendenza. È conosciuta anche come il nome di Bricalet. E’ un piccolo edificio quadrangolare, la volta è ogivale, forse ricostruita al tempo della realizzazione degli affreschi, che sono del XV secolo. I dipinti sono opera di un pittore, di influenza francese, denominato Maestro di san Brizio, ma ne è sconosciuta l’identità. Espressi in un linguaggio tardogotico, gli affreschi rustici, ma singolarmente e felicemente aggiornati, sono forme aperte alla luce, semplificate nei volumi e accese nei colori, caratteristiche cui s’ispirarono anche Tommaso e Matteo Biazaci”.
“Alle pareti – continua la studiosa  – si trova una serie di otto santi dall’atteggiamento risoluto e determinato. Sono designati con il nome: san Pietro e san Paolo, san Sebastiano, sant’Antonio. santa Caterina d’Alessandria, santa Lucia,  sant’Agata e una quarta figura andata perduta ma identificabile come san Bernardo”. “Questo tipo di dipinti, – come ha avuto modo di dire la storica dell’arte Anna De Floriani– segnano in valle Maira l’avvio di una svolta. Sono figure irrigidite dai contorni taglienti, ma con la novità della luminosità assoluta delle campiture di colore, dai volti stondati che prendono un lieve risalto plastico non dal  chiaroscuro ma dall’incontro di piani luminosi.Sulla prete di fondo si trova l’Annunciazione: purtroppo è anch’essa deturpata dalle varie vicende storiche e umane che l’hanno raggiunta. Vediamo infatti numerose sgraffiature sullo sfondo e anche sul viso della Vergine, di cui appare, seppure ben visibile, solo il disegno preparatorio. Questa scena dell’Annuncio di Gabriele a Maria è pensata all’interno di una cinta merlata, un hortus conclusus, dove Maria è seduta su una panca con il libro, nel tipico atteggiamento che ricorda l’Annunciazione dell’Angelico. La Vergine attende alla lettura dei salmi ed è avvolta nel manto blu, simbolo del divino, sulla veste rossa, simbolo dell’umano. Sul suo volto si possono leggere stupore e timore per l’improvvisa apparizione. L’angelo, davanti a lei, è vestito di un prezioso abito dorato, non più svolazzante, perché il colloquio con Maria è già iniziato: Ave piena di grazia il Signore è con te Il saluto con cui si rivolge a Maria è scritto nel bindello che attraversa lo spazio tra le due figure”.