Dall’inflazione secondo Einaudi allo spread secondo Ghisolfi

Dopo 74 anni, la nuova tassa (occulta) sui poveri. “L’aumento degli interessi sul debito pubblico penalizza chi ha bisogno di un prestito e favorisce chi ha tanti risparmi da depositare”
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La riflessione del Banchiere Europeo e giornalista Beppe Ghisolfi – impegnato nelle ultime turbolente settimane a spiegare nelle scuole, in TV e sui giornali gli effetti sociali diretti di questa parola inglese su famiglie e imprese in difficoltà – porta a conclusioni molto simili a quelle a cui, nel 1944, arrivò lo Statista ed economista cuneese Luigi Einaudi parlando dell’inflazione: “La peggiore delle imposte – la definì il Primo Presidente eletto della Repubblica e Ministro economico di De Gasperi nella ricostruzione post bellica Italiana – peggiore perché inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di disordine sociale”.
Insomma – secondo Ghisolfi – una “tassa occulta”, non dichiarata ma pesante e, alla fine dei conti, pagata soprattutto dalle categorie economicamente più vulnerabili: fu molto chiaro lo Statista di Dogliani a proposito delle tendenze all’aumento dei prezzi.
La stessa chiarezza, anche terminologica, con cui, 74 anni dopo, Ghisolfi definisce lo Spread, ossia l’aumento finale degli interessi sul nostro debito pubblico che – come Egli stesso scrive nel proprio più recente editoriale domenicale – “danneggia i poveri e arricchisce i ricchi, punisce chi ha bisogno di soldi e favorisce chi ne ha in eccesso”. Dopo 74 anni, la schiettezza tutta sabauda e cuneese in economia colpisce ancora.