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“Monsignor Sebastiano Dho ci lascia la serenità e la pazienza di chi sa che il Signore ci conduce per mano in ogni tempo e in ogni storia”

3 settembre 2021 | 16:59
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“Monsignor Sebastiano Dho ci lascia la serenità e la pazienza di chi sa che il Signore ci conduce per mano in ogni tempo e in ogni storia”

Don Ettore Signorile ricorda il sacerdote scomparso lo scorso 31 agosto

Don Ettore Signorile ricorda Monsignor Sebastiano Dho.

“Vieni Servo buono e fedele, ricevi in premio ciò che hai donato”, il tesoro che hai vissuto, l’amore che hai elargito a piene mani. Mons. Sebastiano Dho ha donato per tutta la sua lunga e laboriosa vita, prima come presbitero e poi come vescovo, il suo amore a Cristo e alla Chiesa e la sua passione per l’umano che ha sempre guardato con simpatia, cioè con quella grande misericordia che attingeva dalla sua fede: un uomo libero, sempre proteso a tutelare la libertà della Chiesa da ogni ingerenza o connivenza coi poteri forti della politica e dell’economia.
Ha amato Cristo, la Chiesa e i fratelli senza riserve e senza fare calcoli, avendo per faro il Vangelo e per bussola il Concilio Vaticano II che amava definire il “catechismo dei nostri tempi”. Egli ha vissuto quanto auspicava per me, suo primo ordinato della diocesi di Saluzzo: la gioia del ministero sacerdotale. Una gioia adulta, pensata e sofferta, ma da dispensare, come un fiume in piena, per l’intero popolo di Dio che ha servito con tutte le sue forze. La stessa letizia che sono riuscito a rivedere in filigrana, più scarna, ma più vera, nell’ultima telefonata che abbiamo avuto tre settimane or sono, quando ancora mi disse della sua gioia per il motu proprio di Papa Francesco “Traditionis Custodes”. Lui che per tanti anni aveva sostenuto e difeso la riforma liturgica voluta da Paolo VI in riferimento alle indicazioni conciliari, presiedendo la Commissione per la liturgia della Regione Piemonte e Valle d’Aosta.
“Sono il tuo vescovo vecchio” mi diceva lui, che, prima di essere il nostro pastore è stato il nostro professore di morale. E prima ancora giornalista, direttore del settimanale diocesano “L’Unione Monregalese” negli anni ’70 e vicario generale di Mondovì. Da ragazzo aveva perso troppo presto i suoi genitori e il seminario era diventata la sua famiglia e lo è sempre stata, anche se aveva trovato la dolcezza della zia, “la magna” che lo accompagnò nel suo ministero episcopale a Saluzzo dove venne ordinato vescovo da mons. Anastasio Ballestrero il 24 agosto del 1986. Poi ad Alba, dove fece l’ingresso nel 1993. Con la zia si recava ogni autunno a raccogliere le castagne nella sua amata Frabosa Soprana, dov’era nato il 16 maggio del 1935.
Mi disse un giorno di ritorno in auto da Reims, quando lo accompagnai in una delle sue tante missioni come osservatore della Conferenza Episcopale Italiana ai lavori della Conferenza Episcopale Francese là riunita per la visita di Giovanni Paolo II:
“Sai, come potevo dire di no al trasferimento da Saluzzo, io che avevo chiesto la disponibilità a cambiare parrocchia a così tanti sacerdoti della mia amata diocesi?”.
Era un innamorato della “Presbiterorum Ordinis”, punto cardinale a lui molto caro della bussola conciliare. é il documento che riguarda la vita dei preti: “con l’ordinazione a vescovo, su consiglio di una carissima persona laica ho preso questo impegno, amare i sacerdoti e andare sempre a cercare chi da un po’ di tempo non vedo per capire come sta”.
Nella Diocesi di Saluzzo favorì la nascita delle prime comunità presbiterali per le parrocchie in solidum e nelle diocesi della Provincia Granda favorì la nascita di molti organismi pastorali interdiocesani (famiglia, seminario, pastorale del lavoro).
Era un appassionato della collegialità episcopale, amava la sua Conferenza Regionale sentendola una fraternità essenziale e fondamentale per il vescovo.
Soleva ripetere, riprendendo alcuni autori del suo tempo: «la collegialità deve essere effettiva e non solo affettiva».
Non si stancava mai di dire quanto fosse importante per i vescovi lavorare insieme: “lo chiediamo ai nostri preti, dobbiamo farlo anche noi vescovi”.
Ora che è nel Signore, non è più il tempo della raccolta delle castagne, ma troverà la zia, i suoi genitori, i famigliari e una moltitudine di vescovi, sacerdoti e persone semplici (quelle che lui era solito definire “senza fronzoli”), una moltitudine che ha amato in modo sobrio, autentico e fedele. Mons. Sebastiano raccoglierà ciò che ha seminato. Lascia a noi il testimone che dobbiamo raccogliere. Il “faro” che ha illuminato i suoi passi e la “bussola” che ha orientato il Pastore di una Chiesa Popolo di Dio in cammino. Ci lascia la serenità e la pazienza di chi sa che il Signore, il Buon Pastore, ci conduce per mano in ogni tempo e in ogni storia. Sappiamo che Dio scrive diritto sulle righe contorte degli uomini.
Il vecchio vescovo saggio, lasciando il testimone al suo successore sulla Cattedra di Alba, con grande commozione disse: “i vescovi passano, Cristo rimane!”. Vegli dal cielo su di noi, ci tenga una mano sul capo, questo nostro Padre affettuoso e uomo di Chiesa straordinario. Passano i vescovi, ma restano nel nostro cuore, per costruire passo dopo passo con fatica e con passione la “primavera della Chiesa”.
Grazie, Servo buono e fedele, ricevi il premio per ciò che ci hai donato.”