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Carni cuneesi sostenibili e di assoluta qualità, il “Farm to Fork” tra preconcetti e paradossi

22 aprile 2021 | 15:57
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Carni cuneesi sostenibili e di assoluta qualità, il “Farm to Fork” tra preconcetti e paradossi

Confagricoltura Cuneo difende il lavoro di migliaia di allevatori che in questi anni hanno investito risorse ingenti in migliorie aziendali per il rispetto dell’ambiente e del benessere animale

“La zootecnia cuneese non solo produce carni bovine, suine e avicole di elevata qualità e con caratteristiche nutrizionali di assoluto rilievo, ma lo fa utilizzando metodi sempre più sostenibili dell’ambiente e investendo risorse in migliorie rispettose del benessere animale. Tutto questo non è considerato a dovere da chi, invece, non perde occasione per attaccare l’operato degli allevatori, animato da una visione del comparto non rispondente alla realtà”. Così Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Cuneo, sottolinea come gli allevatori perseguano ormai da molto tempo obiettivi legati alla sostenibilità ambientale e alla generale tutela dell’ecosistema, ritenendo preconcetti non corretti quelli su cui si basa la strategia “From Farm to Fork” con cui l’Unione Europea mira a voler orientare gli allevatori europei verso un sistema alimentare ancora più sostenibile.

Un video, realizzato dall’associazione “Carni sostenibili”, che riunisce i produttori italiani di carni e salumi, e da “European Livestock Voice”, che raggruppa gli organismi europei della filiera zootecnica, mette in luce da un lato come gli allevatori dell’Unione Europea siano già da tempo impegnati verso la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e dall’altro illustra i paradossi del Farm to Fork. Anzitutto le associazioni spiegano come sia stato proprio il consumo di proteine animali (in cui in poche calorie si trovano tutti e nove gli amminoacidi essenziali, 16 vitamine e minerali e 10 composti bioattivi) a favorire lo sviluppo del cervello umano. Un altro paradosso riguarda l’uso del suolo: è infatti falsa l’opinione secondo cui gli allevamenti sottrarrebbero terreni per le colture per l’alimentazione umana, visto che l’alimentazione animale si basa (86%) su parti vegetali e ricche in cellulosa come residui culturali (erba e fieno) non digeribili dall’uomo e che vengono convertite in proteine ad alto contenuto biologico.

Un altro paradosso riguarda l’ambiente. Dove c’è allevamento ci sono persone che custodiscono un territorio, evitandone abbandono, cementificazione, dissesti idrogeologici e la perdita di biodiversità. Carne sempre più capro espiatorio per quanto concerne le emissioni di CO2: un grave errore se si considera che una persona contribuisce a tali emissioni più con un volo aereo Roma-Bruxelles che con un consumo moderato di carne per un anno. E ancora, l’Unione europea chiede un progressivo ridimensionamento del settore zootecnico continentale, ma ciò, inevitabilmente, potrebbe costringere ad importare carne da altri Paesi dove produrre ha impatto maggiore sul clima e le norme sul benessere animale sono meno stringenti, senza considerare il peso economico delle importazioni e le ripercussioni che una riduzione del settore zootecnico avrebbe su altre filiere.

La Commissione Europea vuole ridurre del 20% i fertilizzanti aumentando del 25% le produzioni biologiche entro il 2030, ma per l’agricoltura biologica è necessario il bestiame il cui letame permette di fertilizzare il suolo senza l’uso di concimi chimici. Non vanno dimenticate inoltre le ricadute sull’occupazione in zone rurali che, senza allevamenti, andrebbe persa con conseguente spopolamento delle aree agricole. Attenzione anche alla tutela del patrimonio gastronomico e culturale se si considera che le filiere più corte e il rafforzamento della resilienza dei sistemi alimentari regionali come le indicazioni geografiche protette richieste dall’Unione Europea si scontrano con la globalizzazione dei cibi surrogati e ultra trasformati senza identità territoriale, culturale e di origine.

“Una tale strategia potrebbe avere delle serie ripercussioni anche sulle migliaia di allevamenti attivi nella nostra provincia, già alle prese con le conseguenze negative della pandemia e con un brusco calo generalizzato delle quotazioni – continua Marco Bruna, responsabile di Confagricoltura zona di Saluzzo e Savigliano -. Il dibattito in questo momento sembra cavalcare l’onda dell’emozione, ma solo la scienza può aiutare a capire come organizzare su scala globale una produzione realmente sostenibile, ma che garantisca cibo per tutti. Di fronte a questo scenario è più ragionevole supportare gli allevamenti invece che denigrarli, considerando attentamente l’impatto di grandi cambiamenti sul reddito aziendale, fattore imprescindibile per la salvaguardia e la tenuta dell’intero comparto”.

Secondo uno studio elaborato nel novembre dello scorso anno dal dipartimento di Stato USA all’agricoltura con la collaborazione di alcune università statunitensi, la messa in opera delle indicazioni contenute nella comunicazione “From farm to fork” e della nuova strategia per la biodiversità comporterebbero una diminuzione del 12% della produzione agricola della UE. I redditi agricoli subirebbero un taglio del 16% e, allo stesso tempo, i prezzi al consumo salirebbero del 17%.

Anche il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, è intervenuto contestando le recenti e ripetute prese di posizione del commissario Ue all’agricoltura, secondo il quale gli allevamenti intensivi non consentono di tutelare le aree rurali e i produttori. “Gli agricoltori e gli allevatori che rispettano le regole della UE in materia di sostenibilità ambientale e benessere degli animali meritano tutti considerazione e tutela senza alcuna distinzione. Le ricorrenti critiche del commissario Wojciechowski nei confronti degli allevamenti intensivi risultano immotivate e inappropriate – ha dichiarato -. Il commissario dovrebbe sapere che il sistema agricolo europeo è all’avanguardia a livello mondiale per sicurezza alimentare, qualità e sostenibilità ambientale. Wojciechowski dovrebbe piuttosto rafforzare il suo impegno per la redazione di uno studio d’impatto sulla comunicazione From farm to fork”.