Sui migranti e gli stagionali della frutta nel cuneese

16 marzo 2021 | 18:42
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Sui migranti e gli stagionali della frutta nel cuneese

La primavera si avvicina a grandi passi e con essa anche l’esercito agricolo di riserva: siamo attrezzati per accoglierli ed evitare le indecorose e inumane situazioni sperimentate lo scorso anno al Movicentro di Cuneo, a Saluzzo e non solo?

Dal Tavolo Lavoro Rete Minerali Clandestini di Cuneo sul tema dei migranti e gli stagionali della frutta nel cuneese:

La primavera si avvicina a grandi passi e con essa anche l’esercito agricolo di riserva (vi ricordate del buon vecchio Marx?). Alcune schiere arriveranno a Cuneo, a Saluzzo e in altre zone della provincia: siamo attrezzati per accoglierli ed evitare le indecorose e inumane situazioni sperimentate lo scorso anno al Movicentro di Cuneo, a Saluzzo e non solo?
Il dato è questo: l’agricoltura ha bisogno di manodopera stagionale; i lavoratori stagionali arrivano e non trovano strutture adeguate ad accoglierli e procedure di avviamento al lavoro che assicurino assunzioni buone e tutelate per cancellare la piaga del lavoro nero e di quello cosiddetto grigio (che emerge dall’invisibilità ma non del tutto). E dove c’è lavoro nero o grigio sguazzano le mafie e il caporalato, che spesso degradano il lavoro in una condizione servile e di forte ricattabilità.
L’ex ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ebbe a dire, con riferimento al fenomeno del caporalato: “Le aziende agricole si rivolgono ai caporali perché non esiste una rete legale che le aiuta a trovare i lavoratori necessari. I caporali coprono uno spazio rimasto vuoto: offrono un servizio che lo Stato non riesce a garantire” (Vedi: Il Sole 24 Ore del 16/10/2020).
Ma è proprio così? Se non esiste il servizio garantito dallo Stato, ci sono piattaforme digitali dedicate che mettono in comunicazione lavoratori e aziende. Si tratta di piattaforme gestite da imprese private a impatto sociale (Humus Job), enti pubblici (Io lavoro in agricoltura), organizzazioni datoriali (Agrijob, Job in country ecc.). La loro efficacia è limitata, a quanto ne sappiamo, dalla scarsa utilizzazione da parte degli imprenditori agricoli: c’è l’offerta di lavoro da parte dei lavoratori mentre è carente la domanda da parte dei datori di lavoro. Come mai? La domanda ha una risposta impertinente, ma la formuliamo ugualmente perché, come dice il vecchio adagio, “A parlar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. La risposta ci rimanda a una incongruenza del mercato ortofrutticolo, governato dalle grandi catene di distribuzione che stabiliscono i prezzi alla produzione attraverso pratiche sleali, come le aste elettroniche inverse (o al doppio ribasso) o quelle del sottocosto sui prodotti alimentari freschi e deperibili; meccanismi perversi che ricadono sui produttori, i quali non trovano di meglio che scaricarli sui lavoratori.
Ci sarebbe la possibilità di invertire la tendenza, ma per farlo i produttori agricoli e le loro organizzazioni sindacali (Coldiretti, Confagricoltura, CIA, ecc.) dovrebbero uscire allo scoperto e iniziare a rivendicare l’eticità del lavoro e il riconoscimento di prezzi alla produzione più equi e, conseguentemente, l’orgoglio di pagare salari anch’essi giusti che consentano di superare la piaga del caporalato e del lavoro nero o grigio che sia. E non si dica, per continuare a non fare i conti con la realtà, che qui da noi non ci sono né mafie né caporalato. O che il problema non ci riguardi.
Continuando a chiudere gli occhi, si coltiva la normalizzazione dello sfruttamento e dell’autosfruttamento, della precarietà come stile di vita per i migranti: persone relegate in una situazione identitaria, sociale e umana, sospesa; che non possono dissolversi, ma che, nonostante la deprivazione dei diritti, vivono (sopravvivono) nei nostri territori, aggrappati agli scampoli di lavoro stagionale che il mercato offre loro. In tale contesto è utile non dimenticare, però, lo stretto legame esistente tra lavoro “buono e tutelato” e condizioni di vita dei migranti: quelle deprecate da molti benpensanti. L’equazione è semplice: senza contratti regolari di lavoro non si ha diritto alla disoccupazione; senza disoccupazione e stabilità non si può aspirare alla locazione di una casa; si alimentano solo sistemi di accoglienza emergenziali e assistenzialisti, che non facilitano un approccio strutturale al problema, rispettoso dei diritti dei migranti, tranquillizzante per la cittadinanza ed educativo per le giovani generazioni.”