Garessio dedica la Giornata della Memoria a Roberto Lepetit, morto a 39 anni in un campo di concentramento

26 gennaio 2021 | 10:44
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Garessio dedica la Giornata della Memoria a Roberto Lepetit, morto a 39 anni in un campo di concentramento

La sua dipartita è stata ancor più tragica perché avvenuta tre giorni prima che il campo fosse liberato dalle truppe angloamericane

L’assessorato alla Cultura e il Consiglio della biblioteca civica di Garessio, in occasione della Giornata della Memoria di domani, mercoledì 27 gennaio 2021, hanno congiuntamente deciso di ricordare Roberto Lepetit, industriale e operatore scientifico, partigiano, arrestato e deportato dai nazisti in Germania e morto nel campo di concentramento di Ebensee in Austria il 4 maggio del 1945, a 39 anni.

La sua morte è stata ancor più tragica perché avvenuta tre giorni prima che il campo fosse liberato dalle truppe angloamericane.

Riportiamo di seguito la storia della famiglia Lepetit diramata dal Comune di Garessio.

L’ARRIVO DELLA FAMIGLIA LEPETIT A GARESSIO. Robert Georges Lepetit, di natali francesi, fonda la Lepetit&Dollfus nel 1868 con il cognato Albert (poi allargata ad un altro socio Auguste Gansser nel 1878). Nel 1915 nasce la Ledoga dalle iniziali dei tre cognomi. Nel 1894 sorge lo stabilimento di Garessio, per produrre il tannino, ricavato dalle cortecce e dal legno del castagno, utilizzabili nel settore dei coloranti per la concia delle pelli. A questa lavorazione si affianca e prende rilevanza commerciale e industriale l’attività farmaceutica. Nasce infatti a Garessio nel 1903 il primo farmaco di sintesi italiano, l’Almateina, un disinfettante intestinale cui fanno seguito efficaci medicinali antinevralgici e antireumatici. Mancato il capostipite Robert, subentrano i figli Roberto e Emilio: il primo fautore di grandi ricerche scientifiche e il secondo brillante e coraggioso nella gestione amministrativa.

Alla morte di Emilio nel 1919 e di Roberto nel 1928, proprio Roberto Enea Lepetit, figlio 22enne di Emilio – nato a Lezza di Erba nel 1906 – si assumerà la responsabilità di dirigere l’azienda. Il geniale imprenditore riuscirà a imporre sui mercati la Lepetit che conquista posizioni di leadership del settore. Vanto dello stabilimento di Garessio, che nel 1940 occupava 200 maestranze, anche quello di aver avviato la produzione del Tiazene, il primo sulfamidico italiano. Negli anni successivi uscirà il Cloramfenicolo, il primo antibiotico di sintesi realizzato in Italia. Il prodotto è stato trattato per trent’anni nello stabilimento di Garessio, venduto in Italia con marchio Sintomicetina, prescritto per combattere tifo, paratifo e brucellosi.

ROBERTO LEPETIT E LA RESISTENZA. Condizionato e sempre più insofferente al regime fascista, a partire dal 1942 Roberto Lepetit dalla sede centrale di Milano decide di aderire alla lotta partigiana prendendo contatti con il Comitato di Liberazione Alta Italia. Dopo il bombardamento di Milano del 24 ottobre del 1942 con la moglie Hilda e i due figli Emilio (nato nel 1930) e Guido (classe 1932) si trasferisce a Garessio. Successivamente nel settembre 1943, nei giorni successivi all’Armistizio, Lepetit, come scrisse sua moglie Hilda nel diario, “aveva già aiutato i 360 prigionieri jugoslavi che erano detenuti nel campo del Miramonti, facilitandone la fuga quando si era intuito l’arrivo dei tedeschi…”.

Lo racconta anche Francesco Chiancone, ex direttore del laboratorio della ricerca medica e biologica alla Lepetit, nel libro “Un uomo da Milano a Ebensee”, precisando: “Il Cappellano don Divina, il colonnello Vincenzo Ardù, comandante del campo, e altri ufficiali avevano lasciato il campo, vestendo abiti borghesi e radunando gli sbandati sulle montagne. La gente di Garessio li ospita e li nasconde in casa e nei seccatoi; Lepetit dona loro abiti, medicinali e viveri. Gli incontri con i partigiani della valle Casotto – sempre con il fidato Paolo Odda – si fanno frequenti, con la scusa della visita ai castagneti della fabbrica. Il colonnello Rossi (Paolo Ceschi) e poi il maggiore Mauri (Enrico Martini) gli chiedono viveri, indumenti, medicinali e con lui elaborano piani di difesa e di azione. La sua partecipazione attiva alla lotta partigiana diventa sempre più intensa. Roby è il nome di battaglia da lui assunto”.

Chiancone fa riferimento anche agli scontri tra nazifascisti e partigiani del febbraio 1944 quando, sotto al Miramonti, perì tragicamente il dipendente, Leonardo Esposito, barese, che stava rientrando all’albergo Giardino dove alloggiavano tutti i lavoratori Lepetit arrivati da Milano. “Garessio, che pareva lontano dalle implicazioni della guerra, diventa teatro di scontri ravvicinati tra partigiani e occupanti tedeschi che controllano la cittadina. Così, agli allarmi aerei di Milano si sostituiscono i rastrellamenti degli operai che vengono spediti in Germania come lavoratori; la cittadinanza parteggia naturalmente per i nostri e diventano più frequenti e ossessive le perquisizioni nelle case, alla ricerca di partigiani nascosti o per punire chi li ha aiutati…».

Nel maggio del 1944 la situazione a Garessio si fa sempre più pericolosa e Lepetit decide di rendere più diretti i contatti con la Resistenza in Lombardia. Qui, con l’amico Sandro Piantanida raccoglie informazioni, organizza campi di atterraggio per paracadutisti sul lago di Como a Volesio. Viene arrestato il 29 settembre 1944 nel suo ufficio di via Tenca, ora via Lepetit, la strada dedicata a sua memoria dal Comune di Milano. Viene accusato per una serie di messaggi con dati in codice, subisce interrogatori estenuanti e violenze fisiche nell’albergo Regina da parte delle SS e viene imprigionato nel carcere di San Vittore. Il 16 ottobre 1944 il trasporto a Bolzano, perché aveva rifiutato di firmare una supplica che gli avrebbe concesso la libertà. Resta per un mese nel campo di concentramento in Alto Adige da cui riesce a scrivere e a fare avere di nascosto una ventina di lettere per la moglie – che andrà alcune volte a trovarlo per portargli pacchi -; forte in lui il “terrore di andare più a nord di qui”. Riesce a far installare nel campo una farmacia per convogliare medicinali e viveri per i 1.400 prigionieri, ma il 18 novembre viene destinato alla Germania.

Entra nel terribile lager di Mauthausen, poi in quello Melk (dove 8.000 internati lavoravano nelle gallerie ricavate dai tedeschi per nascondere le officine belliche) e il 13 aprile 1945 avviene l’ultimo trasferimento nel campo di sterminio di Ebensee, in Austria. Il 27 aprile viene ricoverato in infermeria, forse per tubercolosi, e morirà il 4 maggio. Tre giorni dopo il campo sarebbe stato liberato dagli Alleati. Quattro giorni prima, il 30 aprile, Hitler si era suicidato nel bunker di Berlino.

Ferruccio Parri, capo del primo governo italiano del dopoguerra ispirato dai movimenti della Resistenza, ricordando l’incontro clandestino a Milano con Roberto Lepetit nella primavera del 1944 ebbe a dichiarare: “Intendevo dietro di lui un ambiente ed energie nuove ancora per me, o quasi, nel panorama sociale che il movimento della resistenza veniva tumultuosamente abbozzando. E ascoltando le sue informazioni mi studiavo, quasi involontariamente, di capire la mentalità, l’educazione, le ascendenze spirituali di quest’uomo, semplice e schivo, cordiale e riservato. L’umanità del suo sorriso disarmava la mia diffidenza quasi professionale e lo rivelava meglio delle parole, quasi pudiche della generosità e determinazione che erano il fondo del suo carattere. Era un signore”.

La vedova Hilda fece erigere nel campo di Ebensee, opera dell’amico Giò Ponti, celebre architetto e designer, un’alta croce, recentemente restaurata e conservata dall’ANED, l’Associazione Nazionale Ex Deportati, con la scritta: “Al marito qui sepolto, compagno eroico dei mille morti che insieme riposano e dei milioni di altri martiri di ogni terra e di ogni fede, affratellati dallo stesso tragico destino, una donna italiana dedica, pregando perché così immane sacrificio porti bontà nell’animo degli uomini”.