Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema

25 dicembre 2020 | 15:31
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Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema
Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema
Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema
Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema
Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema
Ecco ‘Delta’, il nuovo progetto musicale della band albese Compagnia Musicale Brema

Abbiamo fatto alcune domande alla promettente band Made in Alba, a pochi giorni dall’uscita del loro nuovo EP. Un progetto discografico innovativo che si propone di indagare le origini del blues.

La Compagnia Musicale Brema è una band nata ad Alba nel 2017. Composta da Alessandro Fabro (voce, chitarra acustica, elettrica), Andrea Cornaglia (basso) e Mauro Ambrassa (batteria e percussioni), il trio si configura come una promettente gruppo rock alternativo e moderno, che guarda con molta attenzione alla realtà contemporanea (non solo a livello musicale) senza rinunciare ad uno sguardo esperto e appassionato alla storia della musica, in modo particolare quella novecentesca.

Già dal nome, la band fa capire quella che è la propria poetica. “Il nostro nome deriva dalla favola ‘I Musicanti di Brema’ dei fratelli Grimm. – ci spiega Alessandro Fabro – Ci sembrava un nome adatto a noi, perché racconta la storia di quattro animali in difficoltà con i loro padroni, perché vecchi e ormai inutili, che unendosi insieme e avendo l’ambizione di diventare musicisti, riescono a riscattarsi, addirittura mettendo in fuga un’orda di briganti. È una morale molto stimolante per dei musicisti, che rende la favola dei Grimm uno dei racconti più rock che siano mai stati scritti!”. La band albese ha già realizzato alcuni singoli negli scorsi anni e un EP, intitolato “Con gli occhi chiusi”, interamente dedicato alla notte, nei quali hanno già fatto pregustare gran parte del loro potenziale rock, differente da ogni altra realtà musicale, quantomeno nel nostro territorio. Il 17 dicembre di quest’anno, invece, è uscito su tutte le piattaforme streaming, il loro nuovo EP, intitolato “Delta” e prodotto dalla Tortonia Records di Poirino (TO), casa discografica indipendente specializzata nello scovare nuove voci di talento. Il disco, composto da quattro pezzi originali, si propone di indagare la storia del blues fin dalle sue origini africane, e affronta alcune tematiche attualissime. È stato scritto quasi interamente durante il primo lockdown, che ha letteralmente bloccato le aspettative della band albese, che per il 2020 si annunciavano rosee. Ecco le nostre domande in proposito.

– È uscito da poco “Delta”, il vostro nuovo progetto discografico. Com’è nata l’idea di dedicare un album al blues e alle sue origini?

Diciamo che concentrarsi sul blues è stata una scelta quasi naturale. Siamo arrivati alla conclusione che questo era il genere che meglio sposava le nostre singole preferenze e inclinazioni musicali, con Alessandro e Mauro che si possono dire veri e propri esperti del genere (e del rock, che al blues deve moltissimo) e Andrea che invece viene più dalle atmosfere jazz, che hanno contribuito a far raggiungere al blues una definitiva maturità. L’approdo al blues e alle sue origini è stata una naturale conseguenza di queste nostre precedenti esperienze musicali.

Quasi tutte le canzoni di “Delta” sono accompagnate dal nome di un artista americano. Si tratta di cover o di semplici ispirazioni?

Sono vere e proprie ispirazioni. Sono tutti artisti che hanno scritto la storia del blues e le cui poetiche ci hanno sempre ispirato moltissimo. L’idea è quella di affiancare al nostro pezzo il nome di un artista in modo da rievocare l’atmosfera generale che si respira ogni volta che si ha a che fare con quest’ultimo, senza limitarsi a “scimmiottare” il suo stile o le sue canzoni. A nostro parere voler semplicemente fare le rockstar copiando gli illustri predecessori attraverso cover o riproposizioni non porta da nessuna parte. Bisogna esprimersi sulla base di quello che si sente, anche ispirandosi a miti passati, ma senza copiare in blocco.

Passiamo all’analisi delle singole canzoni: a parte “La Bufera”, il primo pezzo rilasciato, la prima canzone che colpisce è senza dubbio “Terra Fiume Bues”. Come è nata e di cosa parla?

“Terra Fiume Blues” è sicuramente la canzone più legata al periodo in cui l’abbiamo scritta, cioè il primo lockdown di marzo. È stato un periodo sconfortante perché abbiamo visto sgretolarsi tutti i nostri programmi per il 2020 in pochi giorni. Doveva essere un grande anno per noi, e invece il virus ci ha bloccati. La frustrazione era tanta, ed è tutta contenuta in questo testo, piuttosto cupo e pieno di paura. La canzone, però non è del tutto pessimista. Si parla di morte, è vero, ma come sempre accade quando si tocca questo argomento, lo si tira in ballo perché c’è un forte senso vitalistico dietro. Non si può fare nessun discorso sulla morte se non si è pienamente inseriti nella vita e non si è “vitali”. Più in generale è una canzone che parla del senso che, seppur talvolta invisibile, c’è sempre anche dietro gli aspetti o i periodi più cupi della vita. In poche parole è una canzone sull’essere coraggiosi, che quindi finisce per far presa soprattutto sui più giovani.

– E poi c’è “Il diavolo al bivio”, una canzone enigmatica, difficile da comprendere appieno, almeno con pochi ascolti. Colpisce molto la mescolanza di generi musicali in essa sviluppati, con un inizio quasi country che sfocia in uno sviluppo che guarda all’heavy metal. Cosa ci dite sul pezzo?

“Il diavolo al bivio” è ispirata alla leggenda di Robert Johnson. Chitarrista degli anni ’20, rimasto vedovo giovanissimo, egli ha cominciato a suonare il blues, senza essere particolarmente dotato. Una notte però, la leggenda vuole che abbia incontrato ad un bivio il diavolo e, vendutagli l’anima in cambio del talento come chitarrista, dal giorno dopo è diventato il bluesman più importante della storia. Tra l’altro è stato il primo “iscritto” al cosiddetto “Clan dei Ventisette”, gli artisti morti in circostanze spesso misteriose o oscure a ventisette anni. Una figura straordinaria e una leggenda che nel nostro genere ha fatto scuola, che diventa l’occasione per esprimere un concetto molto più ampio. Nel ritornello si dice “Quando un Dio tocca, un Dio distrugge”. L’intervento divino è prima di tutto uno sconvolgimento devastante e non sempre ha degli effetti positivi su chi lo subisce. Pensiamo a buona parte della letteratura, da Omero in poi, nella quale leggiamo di divinità che intervengono e sconvolgono le sorti degli umani. Anche nella Bibbia, c’è un’estrema ambiguità da questo punto di vista: se non ci fosse stato il serpente e quindi la maledizione per Adamo ed Eva, che tra l’altro ci rappresenta un Dio terrificante, non sarebbe cominciato il percorso dell’uomo verso la conoscenza, che è l’unico vero mezzo per la salvezza. Il diavolo, ma anche gli dei di ogni epoca, affascinano l’uomo perché sono suoi specchi, e riescono a fare colpo su di lui. Nella canzone abbiamo cercato di dire tutto questo.

– L’ultima canzone è “Regina d’Africa”, un vero e proprio inno di riscatto del continente nero, da sempre bistrattato e denigrato ma in realtà culla del blues e dell’umanità.

Esatto. Tutti noi, in quanto esseri umani, dobbiamo molto, se non tutto all’Africa. Qui è iniziato tutto. Nello scrivere la canzone ci siamo immaginati una vera e propria sovrana africana che, afflitta per i continui maltrattamenti fisici e morali che la sua terra subisce da secoli, profetizza il riscatto del suo regno. Il “Verrà il giorno” un po’ manzoniano che si sente nel ritornello, però, non ha solo i connotati di rivalsa, ma è proprio una dichiarazione di guerra, che porta con sé un’enorme brama di vendetta. Questa vendetta non riguarda solo il razzismo che, soprattutto negli Stati Uniti, non si riesce a debellare, come dimostra la mobilitazione “Black Lives Matter” di quest’estate, ma anche tutta l’ipocrisia e la discriminazione nei confronti degli emarginati tutti, come gli ex alcolizzati o gli ex tossicodipendenti, che si sente molto anche e soprattutto nel nostro paese (Alessandro lavora in un’associazione che aiuta proprio queste categorie ndr). Il blues in questo senso è un’arma per dare voce a chi normalmente nella società non ce l’ha più. Nella musica e nell’arte in generale serviranno sempre dei Dylan, dei De André, dei Pasolini che esprimano la vita vera, quella della gente autentica, che vive più intensamente degli altri, pur spesso nella disperazione più totale. Il blues è nato per questo e continua in questa sua missione finché ce ne sarà bisogno. Bisogna lottare in ogni modo contro ogni forma di repressione e di negazione delle miserie del mondo. Solo così un discorso può avere un senso.

Dopo questa bella chiacchierata con la Compagnia Musicale Brema, speriamo sinceramente che nel 2021 le cose possano migliorare, anche per poter vedere finalmente emergere artisti di questo tipo, che hanno tanto da dire e lo dicono in un modo non standardizzato e banale, ma con forme e metodi pressoché unici nel panorama musicale locale. La band ha molti assi nella manica pronti ad essere giocati e molti progetti interessanti per il futuro, virus permettendo. Il consiglio è di tenere a mente il nome di questi ragazzi, perché si intravvede un futuro decisamente luminoso per loro.