“Cadaveri disinfettati e chiusi dentro sacchi di plastica all’interno della bara”: la pandemia di Coronavirus vissuta all’ospedale di Mondovì

30 dicembre 2020 | 07:31
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“Cadaveri disinfettati e chiusi dentro sacchi di plastica all’interno della bara”: la pandemia di Coronavirus vissuta all’ospedale di Mondovì

Il consigliere comunale Maurizio Ippoliti, membro della direzione sanitaria del “Regina Montis Regalis”, ha effettuato un’ampia relazione sull’attività svolta presso il nosocomio in questo terribile 2020 (“Noi medici soffriamo, non a caso ci chiamano guaritori feriti”). Annunciato anche l’arrivo della risonanza magnetica nel 2021

Maurizio Ippoliti, consigliere comunale e membro della direzione sanitaria dell’ospedale “Regina Montis Regalis” di Mondovì, ha illustrato in occasione della seduta consiliare andata in scena nella serata di ieri, martedì 29 dicembre 2020, l’attività svolta dalla struttura nosocomiale in questo 2020 travagliato e caratterizzato dalla pandemia di Coronavirus.

Riportiamo di seguito la versione integrale del suo intervento.

MAURIZIO IPPOLITI, CONSIGLIERE COMUNALE E MEMBRO DIREZIONE SANITARIA OSPEDALE MONDOVÌ

“In quest’anno che sta per terminare, abbiamo purtroppo conosciuto il Covid-19, un virus subdolo, che ci ha portato via tanti nostri cari familiari e amici. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato l’evolversi della situazione e il triste epilogo. Ci sentivamo protetti da una scienza medica che, sempre più negli anni, garantiva sicurezza promettendo aspettative di vita e sopravvivenze sempre più lunghe, oltre che di miglioramento della qualità dell’esistenza. Questo virus ci ha stravolto globalmente: in primis ha stravolto il mondo sanitario, il suo modo di lavorare, le sue regole e le certezze, i protocolli e le linee guida. Ci ha colti di sorpresa e degli unici mezzi terapeutici di cui disponevamo non ne conoscevamo l’efficacia a riguardo.

Avrete sicuramente notato quanti cambiamenti si sono susseguiti in corso d’opera, relativamente alle metodiche diagnostiche, ai protocolli terapeutici continuamente stravolti, al passaggio dalla esecuzione di pochi tamponi a quello di massa, l’utilizzo o meno della mascherina o alla disquisizione sul fatto che il paziente asintomatico fosse o meno contagioso. Applicazioni e stravolgimenti messi in atto dagli stessi organi superiori di Sanità pubblica. L’unica certezza di non contrarre l’infezione era il distanziamento sociale e il rispetto delle regole di igiene interpersonale. Ha colpito il mondo economico, trasformando la pandemia da virale ad economica. Ha capovolto il mondo della scuola e della didattica, quello dello sport. Ha stravolto i nostri affetti e le nostre relazioni sociali.

Anche la nostra Mondovì è stata violata dalla pandemia, pagando purtroppo in termini di vite umane e di focolai di contagio tra i cittadini e gli stessi operatori sanitari. Quando il virus è arrivato in Piemonte … a Mondovì, circa 15 giorni dopo la Lombardia, questo effimero vantaggio ci ha permesso di prendere seppur minimi provvedimenti sanitari e di confinamento per una più immediata risposta. L’ospedale, di recente realizzazione, è stato di certo la carta vincente per una più semplice attuazione di modifiche strutturali, che hanno consentito la realizzazione di percorsi sporchi e puliti ben distinti e la conversione di reparti per patologia non infettive in reparti Covid.

Il lockdown imposto dal Governo ha ridotto gli eventi traumatici (incidenti stradali o frutto di attività ludiche, sportive e incidenti sul lavoro) e ciò ha permesso di concentrare sforzi e risorse per il trattamento dei pazienti affetti dal virus. Guidati dai medici internisti, competenti in materia, ortopedici, chirurghi, urologi, oculisti, fisiatri hanno provvisoriamente accantonato la propria specializzazione, affiancando i colleghi nel contrasto al virus. Il contagio non ha risparmiato i sanitari, ma, fortunatamente, ad oggi, non ci sono stati casi particolarmente gravi.

Ciò che ha dato animo a resistere e a proseguire nella lotta al virus, è stata anche lo spirito di servizio e sacrificio con il quale la maggior parte dei protagonisti (e non parlo solo dei medici) di questa tragedia, si è adoperata. L’aspetto più terrificante di questa tragedia, oltre l’enorme perdita di vite umane, è stato, a mio avviso, la necessità crudele quanto inderogabile, di impedire la vicinanza tra malati e parenti. Gli unici scambi possibili avvenivano attraverso telefoni o tablet messi a disposizione dalla struttura ospedaliera o dalle case di riposo, che permettevano almeno un incontro, seppur virtuale.

È straziante pensare ai nostri anziani strappati dal loro sicuro rifugio della propria famiglia o di una RSA e proiettati in posti a loro sconosciuti, popolati da strani marziani in tuta bianca, con i quali era difficoltoso comunicare (causa i DPI). Ancor più tremenda la consapevolezza che, per alcuni di loro, non sia stato possibile nemmeno un ultimo saluto nella bara. Una precisazione finalizzata a trasmettere il clima in cui si è stati costretti (da regole sanitarie ispirate al principio di precauzione) a lavorare: a decesso avvenuto, la salma veniva avvolta nei propri lenzuoli cosparsi di disinfettante, chiusa dentro sacchi di plastica e successivamente adagiata nella bara, immediatamente sigillata. Tutte cose viste finora in foto nei testi universitari di Chirurgia di guerra. Perché di guerra si tratta… Immaginate con che animo abbiamo dovuto negare ai parenti che arrivavano in direzione sanitaria l’ultimo saluto al proprio parente che stava per abbandonarli o già defunto. Credetemi, questo modo di lavorare ha fatto male in primis a noi operatori sanitari, che abbiamo vissuto queste atrocità e sofferenze insieme ai pazienti, e telefonicamente, ai loro cari.

Oltre ogni retorica che ci ha visti durante la prima ondata paragonati a degli eroi o a degli angeli, il perdurare delle drammatiche situazioni di sofferenza ha creato, a lungo andare, non pochi squilibri negli operatori sanitari: fenomeni di burn out, ricorso al supporto psicologico, turbe del ritmo sonno/veglia, ricorso ad utilizzo di farmaci. Il tutto si è acuito con la seconda ondata”.

COSA SI È FATTO DURANTE LE 2 EMERGENZE COVID

Posti letto e reparti. Due reparti Covid nella prima ondata) e 3 nella seconda, per un totale di 54 posti letto più 10 in rianimazione e 46 a Ceva ( bassa intensità, con cui si interscambiavano i pazienti in
base alla gravità).

Risorse sanitarie impiegate. Assunti più di 80 nuovi infermieri, 12 medici e un farmacista.

DPI impiegati. Più di 800mila.

Drive through. Più di 20mila tamponi eseguiti.

Lavori per l’ossigeno. Secondo bombolone (da 5mila litri) esterno e raddoppio delle portate nei reparti convertiti in Covid attraverso il montaggio di una doppia colonna montante da piano terra al primo piano, oltre 30 nuove prese di ossigeno, oltre 100 metri di tubo per ossigeno. Implementazione di prese per gas medicali in CAVS e altre prese in DEA. Idem a Ceva, per un totale di 150 metri di tubo per ossigeno e realizzazione dell’impianto di raffrescamento al 3 piano ( il tutto complicato dal periodo con ditte e negozi di materiali chiusi).

Recupero visite programmate. Circa 60 mila visite in sospeso da marzo a giugno, che sono diventate più di 90 mila fino a dicembre.

Libera professione ospedaliera. Durante la prima fase sono sempre state garantite le U e le B e bloccate le D e le P. Sempre eseguite quelle oncologiche. Dal 1° luglio ripartenza ambulatori con nuove tempistiche e distanziamenti per il riassetto igienico. In un primo tempo tutto l’orario era dedicato al recupero delle classi D, poi man mano che le prescrizioni iniziavano a riaumentare, le agende sono state rimodificate, dedicando un 50% dell’orario ai recuperi e un 50% alle nuove prescrizioni. Il coordinamento dei PP.OO. aveva approvato piani di recupero nel tardo pomeriggio sera e sabati ma poi è arrivata la seconda fase. In definitiva, i sospesi non recuperati dal 6 marzo al 31 ottobre sono circa 18mila, il 20% sultotale dei sospesi nel periodo marzo-dicembre.

Adattamento rianimazione tra prima e seconda fase. Lavori di tramezzatura che hanno consentito di dividere il reparto di rianimazione in 2 reparti separati ma contigui.

DEA. Suddivisione in 3 aree, apertura porta per invio pazienti Covid su percorso “sporco “verso la radiologia. Calcolati oltre 22 mila passaggi.

Ginecologia e Ostetricia. Blocco parto convertito in reparto per partorienti Covid. Tre posti letto per puerpere covid, una sala travaglio covid + sala operatoria Covid (per tutti) e una sala travaglio no Covid. Il blocco parto e la sua nuova concezione all’interno della nuova concezione di un intero nuovo ospedale ha consentito la netta separazione in percorsi sporchi e percorsi puliti (tant’è chr tra il personale della Ginecologia e Ostetricia non abbiamo avuto alcun operatore Covid). Numero nati di quest’anno (580) superiore rispetto all’anno scorso (543).

Plasma. Tutti ne conoscono il significato. Ad oggi sono state raccolte 55 sacche di plasma iperimmune (numero notevole) e sono stati trattati 12 pazienti. Attualmente rappresentiamo una banca plasma di quadrante, ma siamo pronti a rifornire altri ospedali.

USCA. Da 10-12 unità si conta di passare a 24 unità.

Nonostante la pandemia Covid-19, il lavoro preventivato a supporto dell’ospedale monregalese è proseguito con impegno assiduo e costante:

TAC nuova, che permette anche lo studio delle coronarie, con cardiologi che nel frattempo si sono formati e addestrati. Contemporaneamente, è stato assunto un grosso impegno nel montare la TAC provvisoria e la tensostruttura esterna. Vantaggio anche per la diagnostica delle patologie neurologiche acute.

Risonanza magnetica 1,5 TESLA. Rispetto del cronoprogramma, acquisizione di due medici e tecnici, preparazione del personale, corsi di sicurezza.

STROKE: la collaborazione multidisciplinare tra neurologia Utic e Dea ha consentito di formulare un progetto per il trattamento dell’ictus in fase acuta mediante trombolisi endovenosa (golden hour) attualmente al vaglio della Regione.

Accresciuta l’attività del Centro Sclerosi Multipla, dell’ambulatorio per il Parkinson, di quello per l’epilessia e di quello del centro cefalee. Presso il centro di Neurofisiologia clinica si possono eseguire
accertamenti e indagini a supporto dei colleghi urologi ginecologi e NPI.

Ampliamento DEA. Medicina d’urgenza incrementata con 10 posti letto.

Adattamento Rianimazione (15 posti letto).

“Tutto questo – ha proseguito Ippoliti – non sarebbe stato possibile senza quelle alleanze tra i vertici aziendali e quelli delle amministrazioni comunali che hanno condiviso obiettivi e percorsi nei minimi dettagli e con aggiornamenti quotidiani. Ed è in funzione di tutto questo lavoro di squadra che invito ognuno di noi ad allontanare polemiche di colore politico, credo religioso, ceto sociale quando si parli di sanità e lo faccio rievocando Ippocrate, che già 3000 anni fa esortava noi discepoli, ammonendoci così: ‘Tu che ti accingi a curar le ferite del corpo, non guardare se il tuo paziente sia ateniese o spartano. La tua professione è sacra ed è sacra perché al servizio della vita’. La partita che dobbiamo portare a casa tutti insieme, ha un nome e si chiama fidelizzazione del territorio, dei cittadini. La gente va invogliata ad aver fiducia nella sanità, sia come ospedale sia come sanità sul territorio, e di questo
siamo tutti responsabili, ogni cittadino, ogni amministratore comunale”.

Dopo i doverosi ringraziamenti, Maurizio Ippoliti ha concluso il suo discorso così: “Vedete cari colleghi, non è facile svolgere al meglio la professione di medico. Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto dal punto di vista emotivo. Molti ci credono freddi e distaccati, nonostante un contesto lavorativo di quotidiana sofferenza e dolore. Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, i medici
sono i più vulnerabili tra gli esseri umani (uno studio condotto negli USA ha dimostrato che tra i medici la percentuale di chi ricorre a sostanze psicotrope e droghe è 100 volte superiore alla norma e quella dei suicidi 8 volte). Noi medici siamo dolorosamente consapevoli di non essere sempre all’altezza delle aspettative dei nostri pazienti e per questo la nostra angoscia è immensa. Non a caso ci chiamano guaritori feriti”.