Vent’anni fa il suicidio di Edoardo, l’erede “maledetto” della famiglia Agnelli

15 novembre 2020 | 09:30
Share0
Vent’anni fa il suicidio di Edoardo, l’erede “maledetto” della famiglia Agnelli

Il 15 novembre del 2000 il corpo del figlio quarantaseienne dell’Avvocato fu trovato senza vita ai piedi del trentacinquesimo pilone del viadotto “Generale Franco Romano” della Torino-Savona, nei pressi di Fossano. Il triste epilogo di un uomo solo in una famiglia potente, ma mai sentita come propria

La notizia, in quella mattina di vent’anni fa, ebbe da subito un’enorme risonanza. Tutti i telegiornali ne parlarono con grande cautela, ma senza escludere l’ipotesi più agghiacciante: “Il figlio dell’Avvocato Gianni Agnelli, Edoardo, è stato trovato senza vita sotto un ponte. Non si esclude l’ipotesi del suicidio”. Furono queste, grossomodo, le parole che si sentirono nelle edizioni dell’ora di pranzo. La notizia arrivò inevitabilmente anche al Lingotto, dove l’Avvocato era impegnato, come sempre, nella gestione del suo impero automobilistico, che lo rendeva il primo industriale del Paese. Chissà come avrà reagito a quell’annuncio.

Tracciare un ritratto del defunto fu per tutti un’impresa tutt’altro che semplice. Primogenito dell’Avvocato, era stato da subito designato come l’erede naturale della dinastia, quello che avrebbe dovuto prendere le redini della FIAT dopo la morte di Gianni e di suo fratello Umberto, magari spalleggiato dal cugino Giovanni, figlio di Umberto. Rappresentava il futuro e la speranza della famiglia, l’uomo su cui si sarebbe dovuta poggiare la più importante industria d’Italia. Ma Edoardo non era come suo padre. Non era un industriale, ma un pensatore, un filosofo, appassionato di religioni e culture orientali. Aveva deciso di studiare Lettere e di non prendere una laurea più utile al proprio futuro già stabilito. Che il rapporto con il padre non fosse dei migliori tutti ormai l’avevano capito. L’Avvocato, infatti, intuita la mentalità del figlio, impossibile da cambiare data la sua testardaggine (questa sì tara familiare ereditata), l’aveva scalzato dalla posizione di erede designato a semplice cadetto, dapprima preferendogli “Giovannino” e poi, dopo la tragica morte di quest’ultimo per un male incurabile, avvenuta nel 1997, addirittura il giovanissimo nipote John Elkann. Era uno smacco troppo grande per non compromettere definitivamente un rapporto mai decollato. Al funerale del figlio l’Avvocato era disperato. Continuava a ripetere “Povero figlio mio!”, probabilmente vedendo dietro al suicidio di Edoardo il suo fallimento come padre.

Del resto le vicende biografiche di Edoardo non contribuirono di certo a ribaltare l’immagine che si era costruito, anzi. La vita dell’erede degli Agnelli fu complicata e piena di periodi bui. Dapprima gli anni degli studi, come detto molto dirompenti per il carattere non esattamente consono alla famiglia di Edoardo. E poi il fascino per l’oriente, che lo spinse ad intraprendere decine di viaggi verso l’India, l’Iran, il Kenya. L’avvicinamento alla religione islamica sciita e la stima mai negata per l’Ayatollah Khomeini, che aveva seguito in molti comizi, generarono curiosità nell’opinione pubblica, mettendo non poco in imbarazzo la famiglia. Poi arrivò il famigerato 1990, l’anno dell’arresto, in Kenya, per possesso di eroina e dei due processi (da entrambi i quali fu assolto) per spaccio di stupefacenti. Questo episodio fu la goccia che fece traboccare il vaso, facendo capire all’Avvocato di cercare il proprio erede altrove. Forse quasi come risposta a questo ostracismo da parte del padre, Edoardo, nelle poche interviste rilasciate negli anni seguenti, si dichiarò sempre più lontano dagli ideali del capitalismo, preferendo al denaro la crescita spirituale. Divenne ben presto l’intellettuale della famiglia, l’illuminato, quello che cercava di dare vita a progetti educativi e ambientalisti, senza tuttavia mai firmare i documenti per la cessione dei suoi diritti sulla FIAT in cambio di una lauta liquidazione, che i vertici dell’industria gli proposero pochi mesi prima della sua fine.

L’epilogo di questa vicenda biografica estremamente cinematografica è degno del miglior sceneggiatore. Un uomo come Edoardo, perennemente sospeso tra l’identificazione e il distacco dalla sua famiglia, non poteva che finire per suicidarsi. E infatti, dopo che l’Avvocato fu chiamato dal suo ufficio per andare sotto quel ponte di ottanta metri e confermare che quello era proprio il corpo di suo figlio, l’indagine fu archiviata in poche ore: Edoardo si era suicidato. Da quella vicenda emersero molti dubbi e congetture complottistiche: qualcuno disse che un corpo precipitato da un’altezza così vertiginosa non potesse calzare ancora i mocassini o avere le bretelle allacciate; qualcun altro che era un mistero il fatto che fosse da solo, dato che viveva da tempo sotto scorta ventiquattro ore su ventiquattro; qualcun altro ancora si stupì che Edoardo, grafomane incallito, non avesse lasciato nemmeno una riga scritta ai suoi cari. Si è parlato, in libri e inchieste, di omicidio camuffato in suicidio, pur essendo carte e famiglia unanimi nel considerare quello di Edoardo come un caso di suicidio.

Qualunque sia la verità, non cambia di molto le cose: vent’anni fa è morto l’uomo solo di una famiglia ingombrante. Un uomo mai capito del tutto e che probabilmente ha sbagliato proprio a causa della sua solitudine. Se fosse nato in una qualsiasi altra famiglia, probabilmente Edoardo Agnelli oggi sarebbe ancora vivo, ma il destino spesso sa essere beffardo e subdolo come il miglior sceneggiatore cinematografico.