Si riaccendono i riflettori sulla rimborsopoli piemontese

4 giugno 2020 | 13:30
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Si riaccendono i riflettori sulla rimborsopoli piemontese

Dato che l’accusa di peculato rivolta a Cota  è contestata in concorso con il collega di partito e capogruppo Mario Carossa e che secondo i giudici della Cassazione  questo aspetto è stato trattato in modo forse troppo sbrigativo dai colleghi dell’appello, si rende necessario un nuovo dibattimento con una motivazione rafforzata, dal momento che Cota era stato assolto in primo grado.

Tornano a riaccendersi i riflettori sulla Rimborsopoli piemontese che aveva visto il coinvolgimento del presidente della giunta regionale Roberto Cota oltre a diversi consiglieri regionali. Il processo riguardava l’uso disinvolto dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi consiliari nella legislatura 2010/2014, quando al governo regionale si trova il centrodestra con la guida leghista. In appello erano stati condannati in 25, contro i 15 del primo grado, ora per molti ci sarà un appello bis, per alcuni solo una rideterminazione di pena.

L’attenzione torna sulla posizione dell’ex presidente Cota e a farlo è la Cassazione che nelle motivazioni con le quali ha valutato i tanti scontrini presentati al rimborso da Cota, tra cui quello delle ormai famose “mutande verdi”, è giunta alla conclusione che non si trattava di spese rimborsabili. Per la Cassazione, l’ex governatore leghista del Piemonte rivendicava “per sé un potere di spesa generale, di posizione, sostanzialmente sottratto a sindacato in ragione del ruolo ricoperto” che rivelava una “concezione privatistica” dei rimborsi spese privi della “necessaria inerenza alle finalità pubbliche sottese al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari”. Ed ecco che, dal momento che l’accusa di peculato rivolta a Cota  è contestata in concorso con il collega di partito e capogruppo Mario Carossa e che secondo i giudici della Cassazione  questo aspetto è stato trattato in modo forse troppo sbrigativo dai colleghi dell’appello, si rende necessario un nuovo dibattimento con una motivazione rafforzata, dal momento che Cota era stato assolto in primo grado.

Il verdetto depositato ieri, relativamente alla sentenza 16765 della Sesta sezione penale, sottolinea che “è fondato” il motivo di ricorso “relativo al concorso di persone con il capogruppo consigliare, a fronte di una assoluzione per insussistenza del fatto la motivazione” resa dalla Corte di Appello di Torino il 24 luglio 2018 “è sbrigativa”. “Ne deriva che sul punto – concludono i giudici dando ragione all’avvocato difensore Domenico Aiello – la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio”.

Sulle spese contestate a Cota la Cassazione ha ritenuto “non illogiche” le conclusioni dei giudici dell’appello che avevano condannato Cota a un anno e sette mesi per la “non occasionalità e sistematicità” con la quale venivano portate al rimborso spese che non avevano attinenza con il suo ruolo in Regione, molte delle quali per effetti personali come “scontrini a catena, spese per ristorazione in luoghi limitrofi all’abitazione, spese sostenute durante viaggi all’estero”. E poi, molti conti di pranzi e cene dagli “importi rilevanti i cui giustificativi – osserva la Cassazione – farebbero riferimento a luoghi diversi da quello in cui l’imputato si sarebbe trovato”.

Sulle “mutande verdi”, la Cassazione concorda con la conclusione che del loro acquisto non se ne potevano fare carico i contribuenti solo perché l’allora governatore si era recato “negli Stati Uniti per un corso di inglese” e “che in tale occasione egli avesse in programma di incontrare, e poi incontrò, al Mit di Boston un ingegnere italiano per un progetto sulla innovazione relativo allo sviluppo economico”.