Il buschese Claudio Garelli ricorda la strage dell’Heysel: “35 anni fa ho visto la morte in faccia”

29 maggio 2020 | 18:52
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Il buschese Claudio Garelli ricorda la strage dell’Heysel: “35 anni fa ho visto la morte in faccia”
Nek cerchio Claudio Garelli il 29 maggio 1985
Il buschese Claudio Garelli ricorda la strage dell’Heysel: “35 anni fa ho visto la morte in faccia”
Il buschese Claudio Garelli ricorda la strage dell’Heysel: “35 anni fa ho visto la morte in faccia”

Se lo ricorda bene l’imprenditore buschese, tifoso juventino quel 29 maggio 1985, lui era in quello stadio: “Andato per assistere ad uno spettacolo sportivo per eccellenza, mi sono ritrovato dentro l’inferno”

La strage dell’Heysel fu una tragedia avvenuta poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600.

Se lo ricorda bene l’imprenditore buschese, tifoso juventino, Claudio Garelli. Quel 29 maggio 1985 lui era in quello stadio: “Andato per assistere ad uno spettacolo sportivo per eccellenza, mi sono ritrovato dentro l’inferno” ci racconta.

Tifoserie di Juve e Liverpool posizionate nella stessa zona dello stadio separate solamente da una rete che si utilizza per delimitare gli orti e da lì a poco fu la catastrofe.

I ricordi sono ben impressi e nitidi nella sua memoria: “Alle ore 19.30 in campo esibizione di squadre di ragazzini, sugli spalti rovinati dal tempo si intravedevano i primi segnali di intimidazione da parte degli hooligans con lanci di pezzi di intonaco, calcinacci dei gradini del vecchio stadio. Poco dopo i primi lanci di razzi ad altezza d’uomo, contemporaneamente i primi brutti pensieri incominciarono ad affiorare nella mia mente.”

Ripercorre quegli attimi minuto per minuto. “Alle 20 le prime invasioni da parte di hooligans solitari, ricondotti dai pochissimi poliziotti presenti all’interno del loro settore. Nel giro di cinque minuti invasioni sempre più numerose da parte dei “barbari” inglesi con aggressioni fisiche con colli di bottiglie e pezzi vetro ai primi malcapitati tifosi italiani. Il panico invase il settore Z, quello dove eravamo noi italiani, e tutti si ammassarono nei punti estremi a quelli dei contatti con gli invasori. Ci accalcammo tutti in una morsa umana incontenibile, un’onda fortissima e molti di noi non riuscirono a reggere, alcuni presi da crisi di panico, altri da stress da compressione altri feriti dalle colluttazioni con gli esagitati, bestiali tifosi anglosassoni.

Fu il caos, la strage. “Non potró mai scordare quelli che erano intorno a me che di punto in bianco, supplicando aiuto, senza più un filo di forza, sparirono sotto i nostri piedi. – continua Claudio – In quei momenti di concitazione e di estrema concentrazione per cercare di resistere, ricordo di aver pensato che era giunto il mio momento ma che era arrivato troppo presto, a 23 anni non si può morire così e che avrei voluto fare molte cose ancora nella vita. Fortunatamente, mentre ero in questo stato di trans, un muro dello stadio crollò e questo ci permise di allentare leggermente la stretta che ci teneva incollati gli uni agli altri e riuscimmo a respirare. Capii che, anche quella volta, sarei riuscito a portare a casa la pelle.”

Questa esperienza cambiò profondamente Claudio Garelli che ancora ora, dopo tanti anni, quando pensa a quei momenti pensa di aver visto la morte in faccia di averci anche parlato.

Conclude Garelli: “Ora, mi piacerebbe che quei tifosi morti per sbaglio 35 anni fa venissero ricordati e non dimenticati e questa storia insegnasse alle giovani leve che è bello divertirsi e farlo con tanti amici ma che non si deve mai andare oltre un certo limite e che non si deve mai perdere di vista quello che è il rispetto verso il prossimo sia esso un conoscente o un avversario.”