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Unità di Crisi messa alle strette dall’Ordine dei Medici

9 aprile 2020 | 11:10
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Unità di Crisi messa alle strette dall’Ordine dei Medici

Eroi in prima linea, ma critici di fronte alla gestione dell’emergenza attuata dall’Unità di Crisi regionale, così l’Ordine dei Medici del Piemonte presenta un documento con tutti gli aspetti negativi riscontrati e le proposte per migliorare la gestione di questa fase emergenziale

Non basta sentirsi definire eroi per il loro impegno quotidiano contro il coronavirus, che oggi ha portato a 96 il numero delle vittime tra i medici. L’Ordine dei Medici del Piemonte si sente in parte disarmato di fronte all’impegno che viene chiesto quotidianamente ai camici bianchi e mette in fila l’elenco di mancanze che vengono imputate nella gestione dell’emergenza: pochi tamponi, dati incompleti, carenza nella fornitura di dispositivi di protezione, persino difficoltà a raggiungere telefonicamente il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (Sisp), mancanza di test per accertare la positività negli operatori sanitari, ritardo nell’avvio delle terapie domiciliari, una politica di interventi rivolta quasi esclusivamente agli ospedali tralasciando quell’importante filtro che è la medicina del territorio. Destinataria della dura  è l’Unità di Crisi, alla quale però i medici avanzano anche delle proposte per rimediare a quanto non funziona ancora a dovere.

Un documento di tre pagine che parte dalla questione ospedali-territorio: “Anche qui, come in altre Regioni, si è assistito a un intervento rivolto a una gestione prevalentemente, se non esclusivamente, ospedaliera dell’epidemia, portando a un sovraccarico di lavoro e di impegno delle strutture e favorendo inoltre il contagio del personale, spesso non adeguatamente protetto. A fronte di ciò, vi è stata l’assenza di una indispensabile strategia complementare per la gestione dell’epidemia con e sul territorio”.

Sono i presidenti degli Ordini provinciali ad osservare come “altrove, dove invece è stata posta attenzione al territorio e si è adottata una strategia ad hoc per intercettare fin da subito i contagi e isolare i contatti, fornendo adeguato supporto e dotazioni ai medici territoriali, si è ottenuta una riduzione della pressione sugli ospedali e un differente numero di ricoveri e di decessi”.

Capitolo case di riposo, dove si continuano a registrare casi e si contano ormai decine di decessi senza che si abbia un quadro chiaro della situazione. Per i medici è frutto di una “mancanza fin da subito di una strategia preventiva ed operativa di valutazione delle situazioni più critiche, dove era facilmente pensabile che il contagio avvenisse e soprattutto dilagasse”. L’accusa è pesante: “Non si sono messe in atto nelle strutture residenziali che ospitano persone fragili e in età avanzata misure rigorose di controllo e di gestione dei casi emergenti, con una non necessaria e prevedibile diffusione del contagio e un incremento, accanto ai ricoveri e alle morti inevitabili, di ricoveri e morti evitabili”.

Dall’Unità di Crisi ci si aspetterebbe chiarezza e dati certi, ma questo non accade perché: “Manca un bollettino giornaliero che indichi le scelte strategiche di intervento decise dall’Unità di crisi sulla base dei rilevamenti epidemiologici, in modo da dare agli operatori in prima linea puntuale indicazione del numero dei ricoveri suddivisi tra intensiva e non, ma anche il tempestivo riscontro del numero di operatori divenuti positivi, sintomatici, asintomatici e di quelli ricoverati, come da noi richiesto lo scorso 18 marzo”.

“La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, viziata dall’esecuzione di un numero ridotto di tamponi. Stime della medicina generale – spiegano i medici – ci dicono di moltiplicare almeno per 7 i dati ufficiali”. Anche sul numero reale dei decessi i dati sono incompleti e, soprattutto, sottostimati a causa del fatto che “l’attribuzione della diagnosi di morte per Covid è data solo ai deceduti in ospedale, in quanto solo per questi era possibile una diagnosi certa, mancando al conteggio delle morti quelle avvenute a domicilio o in residenza, dove i tamponi non sono stati eseguiti, con conseguente netta sottostima della mortalità”. Mancano tassi di mortalità, letalità e di contagio.

Altra falla è risultata essere quella relativa ai dispositivi di protezione individuali ai medici del territorio e ai medici ospedalieri, che ha comportato l’inevitabile l’aumento dei contagi tra gli operatori con il conseguente rischio di trasmissione del virus sia ai pazienti che ai propri familiari, favorendo il rischio potenziale di mortalità e la diffusione del contagio, specie all’inizio dell’epidemia. Questa carenza è diventata proprio un elemento chiave di moltiplicazione del contagio stesso”.

Contagio che gli Ordini dei medici rilevano sia cresciuto anche a causa della “mancata esecuzione tempestiva dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e al personale operante nelle strutture ospedaliere pubbliche e private”.

“La situazione problematica in cui si è venuta a trovare la nostra Regione è leggibile proprio in questo sbilanciamento della gestione dei pazienti negli ospedali anziché sul territorio, che avrebbe potuto e dovuto essere un primo filtro efficace, se adeguatamente attrezzato e supportato”.

Per quanto riguarda le terapie domiciliari, come il Covid a casa avviato in provincia di Alessandria, “solo ora è stata riconosciuta la possibilità di questo tipo di trattamento di pazienti positivi asintomatici o paucisintomatici, ma è necessario un chiarimento sulle modalità di gestione, sui protocolli da applicare, sulle modalità di prescrizione e di somministrazione dei farmaci, sull’assunzione di responsabilità e sulle garanzie di tutela nella loro applicabilità verso coloro che sono poi chiamati a metterli in pratica a livello territoriale”.

E a proposito di terapie domiciliari, nel documento si rileva come sia indispensabile “garantire un’attivazione uniforme delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale, su tutto il territorio regionale, dotando i colleghi di tutti i mezzi di protezione necessari. Senza di esse non si potrà iniziare la terapia domiciliare tempestiva né tantomeno seguire a domicilio i malati precocemente dimessi”.

La richiesta avanzata all’Unità di Crisi è che vengano attuati quegli interventi che finora non sono stati messi in atto a tutt’oggi tra cui “mappare e monitorare in modo rigoroso le Rsa con isolamento immediato dei sintomatici e dei positivi” e “sottoporre tutti gli operatori sanitari al test rapido immunologico”. Per i medici, inoltre va esteso a tutta la popolazione “l’uso delle mascherine non sanitarie con l’obiettivo di proteggere gli altri proteggendo anche se stessi”. Per questo alla Regione chiedono di fare “pressione a livello di ministero della Salute e di Presidenza del Consiglio affinché la misura sia adottata su tutto il territorio nazionale”.