Un’altra bella “Vijò Beuvesana e Piemunteisa”

9 gennaio 2020 | 08:29
Share0
Un’altra bella “Vijò Beuvesana e Piemunteisa”
Un’altra bella “Vijò Beuvesana e Piemunteisa”
Un’altra bella “Vijò Beuvesana e Piemunteisa”

L’ultraventennale iniziativa ideata da Giulio Chiapasco, nel raccolto Circolo Pensionati, conferma la sua vitalità

Gremito era il Centro Incontri Pensionati di Piazza Borelli, la sera di domenica 5 gennaio, per un incontro, arrivato oltre la ventesima edizione, la «Vijò Beuvesana e Piemunteisa», momento di cultura regionale e locale, popolare, nato  da un’ idea di Giulio Chiapasco (la prima edizione fu tra Natale e Capodanno, nell’ormai lontano 1998), allora ai vertici della «Famija Bovesana». Nelle ultime edizioni il testimone è stato colto dalla Pro Loco, il cui giovane presidente attuale, Fabio Secondo Dutto, ormai vicino alla fine del mandato triennale e deciso a non ricandidarsi, ha introdotto, ringraziando e salutando. A lui è arrivato il ringraziamento per quanto fatto dalla consigliera comunale delegata alla cultura Raffaella Giordano (che ha promesso prossimi interventi «in piemontese»).
La scelta del locale è stata dettata dai lavori di restauro-ristrutturazione che ancora continuano all’Auditorium Borelli, sede abituale della «Vijò» (che solo qualche «tappa» ha fatto in Santa Croce, spesso freddina d’inverno). In realtà lo spazio, generosamente, come sempre, messo a disposizione dai «Pensionati» (il presidente Sergio Cavallera ed il suo Direttivo), pur facendo stare un po’ «stretti» e con palco di dimensioni limitate, si è dimostrato molto adatto, caldo e raccolto, intimo, tanto da far pensare agli organizzatori di prenderlo in considerazione anche per il futuro.
Nei panni di «befana», ha presentato, impeccabilmente, la cuneese Candida Rabbia (Candida Rabia), studiosa del piemontese, artista e poetessa, che ha raccolto, un anno fa, la successione dello spinettese Guido Musso, Barba Guido, costretto a rinunciare (almeno momentaneamente) al ruolo in cui era maestro, con signorilità, eleganza, presenza scenica, dagli anni e da problemi personali.
Al suo fianco hanno fatto deliziosi interventi, sereni e delicati, poetici davvero, Gianfranca Prato, monregalese di Crava, dolce e sorridente, Anna Grosso, giocosa peveragnese (tra ricordi della tipica figura del «Bambinelu» e della sua infanzia, spingendosi sin ad un, doloroso, «tango»), lo scrittore e giornalista cuneese Adriano Cavallo, stavolta a leggere sue liriche.
Sono state ricordate tante figure della lingua regionale scritta scomparsi in questi ultimi anni, tra cui «Tavo Burat» (Gustavo Buratti Zanchi).
La memoria storica bovesana Italo Giubergia ha parlato della Valle Colla ormai spopolata, leggendo poesie di una delle figlie di quella zona (che tanto erano piaciute a Giulio Chiapasco nelle ultime settimane della sua vita, conclusasi ad inizio 2011, nel finale ricovero ospedaliero). Ha ricordato il presepe meccanico allestito nella scuola di San Giacomo, ideato dal giovane valligiano Mauro Pellegrino (ancora visitabile la prossima domenica 12, dalle 15 alle 18).
La giovane musicista Michela Pellegrino (altra originaria di San Giacomo), pur presa da nuovi, recenti, impegni di maternità (l’arrivo del secondogenito), non ha voluto rinunciare alla presenza sua, con la fisarmonica e la bellissima voce, fuori dal tempo (è partita giovanissima ad esibirsi nella «Vijò»). Mario Vallauri ha celebrato la produzione del padre Pierino, vero «cantore della bovesanità», dello «spirito locale» (nei primi anni a fianco di Giulio Chiapasco), cui ha dedicato il CD «Con un vestito nuovo».
Alcuni vivaci, spumeggianti, attori della Compagnia teatrale locale «Ji Sensa Libret» (Valentina Pellegrino, Ezio Dalmasso ed Adriano Giordano), diretti dal neopresidente Valerio Giordano, hanno portato in scena una scenetta ironica sui rapporti genitori-figli (nell’ambito regionale molto «in salute» risultano le recite in piemontese).
Candida Rabbia ha dato voce a parole di Guido Castellino.
Al gentile vernantese, ma di evidenti origini sarde, Paolo Usai, invitato da Sergio Cavallera, è stato concesso di usare l’italiano per parlare del suo «ombrello della pace» (regalato al Papa ed ai Capi di Stato mondiali, abbinato a lavoro delle scuole bovesane, «registro») e per leggere alcune sue liriche, di un livello da poeta autentico.
Il tutto è durato il solito paio di orette abbondanti, terminando con un corale inno cittadino, «Nate ‘d Boves», prima di convivio con acciughe al verde e marmellata verace.
FOTO di Michele Siciliano