Roberto Rosso resta in carcere

9 gennaio 2020 | 17:05
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Roberto Rosso resta in carcere

Il Tribunale del Riesame ha stabilito che l’ex parlamentare ed ex assessore regionale Roberto Rosso debba restare in carcere

Per il Tribunale del Riesame l’ex parlamentare ed ex assessore regionale deve rimanere in carcere. Accolta la tesi della Procura che aveva definito Rosso “ricattabile” accusandolo anche di aver mentito

La Procura di Torino ha chiuso l’inchiesta sulla ‘ndrangheta nella quale è indagato l’ex assessore regionale Roberto Rosso, accusato di voto di scambio politico-mafioso. L’ipotesi d’accusa è quella già nota dal 20 dicembre, quando Rosso venne arrestato e condotto in carcere. Gli approfondimenti degli inquirenti hanno apportato alcune modifiche all’accusa mossa all’ex esponente di Fratelli d’Italia, ma nella sostanza i fatti contestati restano invariati: Rosso, tramite due intermediari, avrebbe fatto avere a due presunti esponenti di rilievo della criminalità organizzata, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, “almeno 5.000 euro” per ottenere, in cambio, pacchetti di voti in occasione delle elezioni della primavera scorsa, quando si era candidato per Fratelli d’Italia.

I magistrati sono arrivati alla conclusione dell’inchiesta in modo molto rapido, nello stesso momento in cui l’avvocato Giorgio Piazzese, legale di Rosso, spiegava davanti al Tribunale del Riesame che non sussistevano motivi per tenere ancora in carcere l’esponente politico, in quanto lo stesso si era dimesso da tutte le cariche, oltre ad aver chiarito la sua posizione con gli inquirenti. Di parere diverso è stato il pm Paolo Toso, che ha negato la scarcerazione spiegando che: “ “Quando lo abbiamo interrogato, Rosso ha mentito. Evidentemente è ricattabile”. La difesa di Rosso era stata che non sapeva dell’appartenenza alla ‘ndrangheta di Garcea e che il denaro da lui dato non era altro che un contributo per l’attivazione della campagna elettorale sul territorio. Il Pm ha però contestato i fatti sottolineando che: “Ma di quella somma mancano i rendiconti” imputando a Rosso di aver accettato di pagare 15mila euro che sono poi stati “scontati” a 7.900  e ha prodotto il verbale dell’imprenditrice Enza Colavito, uno degli intermediari, che ha dichiarato: “A Rosso non dissi che quei due erano dei mafiosi, ma che erano degli spacciatori”.

Complessivamente l’avviso di chiusura indagini riguarda undici persone, e descrive gli eventi che hanno portato alla costruzione nella zona di Carmagnola di una cellula di ’ndranghetisti che farebbe riferimento alle famiglie Arona, Defina e Serratore a loro volta collegate alla cosca Bonavota di Vibo Valentia. I tempi rapidi con i quali si è conclusa l’inchiesta in cui è coinvolto Roberto Rosso sono probabilmente correlati alla necessità di unire il fascicolo a quello dell’inchiesta chiamata Carminius”, nella quale ci sono 41 indagati, relativa al radicamento del clan a Carmagnola.

Alla fine la decisione del Tribunale del Riesame è stata quella di non scarcerare Rosso, così come era stato richiesto dal suo legale. L’avvocato Giorgio Piazzese ha dichiarato di rispettare la decisione del Tribunale del Riesame, pur non essendo ovviamente d’accordo: “Non sussiste alcuna esigenza cautelare perché non vi è agli atti alcun elemento che dimostri un collegamento né in allora né tantomeno oggi con la criminalità organizzata. In trent’anni di attività politica Rosso non ha mai avuto nulla a che fare con la criminalità organizzata. La tesi della procura è che Rosso sia ricattabile in quanto non avrebbe confessato. Rosso ha reso interrogatorio in cui ha ricostruito tutti i passaggi della vicenda e ha collaborato con i pubblici ministeri. Non può certo confessare un reato che ha la consapevolezza di non aver commesso”.  Di diverso parere i giudici che hanno deciso che Rosso non deve uscire dal carcere.