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Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano

12 gennaio 2020 | 19:19
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Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano
Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano
Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano
Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano
Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano
Rebecca Trucco da Saluzzo al Kenya a insegnare l’italiano

“La passione per l’Africa è un qualcosa che sento dentro da quando sono piccola: partire e andare in Africa è da sempre stato il mio unico e grande sogno nel cassetto”

Saluzzo. Rebecca Trucco, 20enne saluzzese, partita lo scorso ottobre alla volta del Kenya. Le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa di questa esperienza che ha scelto.

Chi è Rebecca Trucco? Sono una studentessa di 20 anni, scout da 15 e attualmente iscritta a “Comunicazione Interculturale” (Scienze politiche), percorso di studio che ho sospeso prima di partire. Nata e cresciuta a Saluzzo, tra oratorio e scout fin da quando ero piccola; ho iniziato a suonare la chitarra a 5 anni con il metodo Suzuki e anche se attualmente ho smesso è una passione che continuo a portarmi dietro. Il liceo delle scienze umane mi ha permesso di aprire gli orizzonti e ben presto alla scuola, scout e musica si sono aggiunti altri impegni, come il corso teatrale al “Teatro del marchesato di Saluzzo” e la partecipazione a qualche spettacolo. Da quando c’è stata la marcia di Libera il 21 marzo di due anni fa a Saluzzo, sono entrata a fare parte del presidio con altri ragazzi (impegno che attualmente ho sospeso a causa della distanza geografica).

Quando hai scoperto la passione per l’Africa? La passione per l’Africa è un qualcosa che sento dentro da quando sono piccola: partire e andare in Africa è da sempre stato il mio unico e grande sogno nel cassetto. Da quando facevo le medie mi sono ripromessa che un giorno sarei partita per andare a fare un’esperienza in terra africana, senza avere una meta precisa. È da sempre stata una chiamata e un legame che sentivo molto forte, senza alcun specifico motivo.

Quando hai deciso di partire? Ho cominciato a pensare di partire intorno a metà agosto: non ero soddisfatta del mio percorso di studio e dopo un’estate passate a lavorare per cercare di capire cosa fare del mio seguente anno accademico (restare nel medesimo corso di studi, cambiare, dove iscrivermi, etc) ho deciso che volevo partire per andare in Africa e prendere le distanze da tutto ciò che era la mia vita. Avevo bisogno di un cambiamento, di nuovi stimoli, di nuovi occhi con cui guardare tutto ciò che avevo attorno. Per cui, nel giro di due settimane, grazie all’aiuto dei miei genitori, la decisione è stata presa. Rimaneva da capire dove andare: inizialmente abbiamo chiesto a Francesco Bono e sua moglie Ines, che sono attivi nell’ospedale di Sololo nel nord del Kenya. Dato che conoscevamo loro e la missione di Sololo, la prima idea è stata chiedere di andare da loro. La risposta è stata negativa, perché quella zona è troppo pericolosa per poter soggiornare a lungo e mi hanno invece consigliato la congratulazioni dove mi trovo adesso, “Congragation of the Handmaids of Mary immaculate from Parma”.

Ormai son più di due mesi che sei in Kenya, prime impressioni?Mi sto trovando decisamente bene, sono una comunità di 22 persone, di cui tre suore e le ragazze che stanno facendo il percorso per diventare suore: aspiranti, postulanti e novizie. Prime impressioni sul Kenya… Da un certo punto di vista sembra di essere tornati indietro di 50-60 anni: le persone sono estremamente socievoli e gentili, ti salutano per la strada anche se non ti conoscono, ci si parla ancora sui mezzi pubblici, etc. Ciò che fa impressione è il livello di povertà: fuori Nairobi c’è lo slum più grande di tutta l’Africa, la maggior parte delle famiglie non vivono in case di mattoni ma in baracche di lamiera.

Come si svolge una giornata tipo?Personalmente mi trovo molto a contatto con i bambini, che vengono due volte a settimana al convento: per quasi tutto loro, quando vengono a trovarci ciò che cuciniamo per loro è il loro unico pasto della giornata! Oltre a questo sto facendo lezioni di italiano con i vari gruppi di ragazze e in generale sto dando una mano dove c’è bisogno! A dicembre stiamo stati nelle parrocchie del Nord (MaiKona e Badha Huri) per fare un grest per i bambini. I momenti dei pasti sono sempre comunitari, per il resto durante la giornata ognuno ha i propri turni con le cose da fare; gli studi e i tempi di preghiera. Per cercare di fare sì che non sia un’esperienza sterile fine a se stessa e per permettere alle persone che lo desiderano di seguirmi in questo mio percorso, ho aperto un blog su cui pubblico giornalmente il diario di viaggio di quello che sto vivendo e racconto le mie giornate; il tutto accompagnato dalle foto sui miei social Facebook e Instagram. Non ho grandi aspirazioni, spero solo di poter portare in chi mi legge un po’ di consapevolezza in più su cosa sta succedendo dall’altra parte del globo.

Cosa ti manca dell’Italia?In realtà mi manca poco nulla, se non la compagnia degli amici: il cibo in convento è ottimo e vario. Mangiamo i piatti tipici africani, qualche piatto rumeno (due suore sono rumene) e pasta, pizza e delizie italiane!