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Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo secondo in Piemonte per volume di nascite

20 novembre 2019 | 13:46
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Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo secondo in Piemonte per volume di nascite

Su www.doveecomemicuro.it la classifica regionale dei punti nascita più performanti per volume di parti (fonte dati: PNE 2018). A conquistare le prime posizioni sono l’Ospedale Sant’Anna – A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino e l’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo

L’esperienza conta anche nei reparti di maternità. Un alto numero di parti eseguiti in un anno, infatti, si traduce in maggiori garanzie di sicurezza per mamme e bambini. È bene tenerne conto al momento di scegliere l’ospedale. Su www.doveecomemicuro.it, portale di public reporting in ambito sanitario, che dal 2013 rappresenta un punto di riferimento per individuare la struttura in cui curarsi, è disponibile la classifica dei punti nascita per volume annuale di parti (fonte dei dati è il PNE 2018 di Agenas, riferito all’anno 2017). Nel nostro Paese, gli ospedali pubblici o privati accreditati che ne eseguono almeno 10 all’anno sono 445.

In aumento, ma ancora bassa, la percentuale dei centri sopra i 1.000 parti “Le evidenze scientifiche dimostrano che il volume di attività può avere un impatto significativo sull’efficacia degli interventi e sull’esito dell’assistenza per madre e neonato”, spiega Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e membro del comitato scientifico di www.doveecomemicuro.it. Perciò le autorità ministeriali hanno stabilito – con l’Accordo Stato Regioni del 2010 – la soglia minima di 1.000 parti annui tra i punti fermi per valutare la bontà di una struttura. In quanti la rispettano?

Dei 445 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia effettuano almeno 10 parti all’anno, solo 172 (il 38,7% del totale) superano i 1.000 parti annui: il 43% si trova al nord, il 20,3% al centro e il 36,6% al sud. Nell’edizione precedente (riferita all’anno 2016), le strutture totali – che eseguivano almeno 10 parti annui – erano 461, di queste il 38% raggiungeva la soglia ministeriale di 1.000 parti. “L’aumento delle strutture che rispettano lo standard e il relativo calo del numero totale degli ospedali indicano che stiamo andando nella giusta direzione per assicurare ai cittadini le maggiori garanzie di sicurezza”, spiega Elena Azzolini.

Le strutture pubbliche o private accreditate che, invece, eseguono tra i 500 e i 1.000 parti all’anno sono 184 (il 41,3% del totale): il 41,3% è situato al nord, il 15,2% al centro e il 43,5% al sud. In calo gli ospedali sotto i 500 parti (ma ancora ben un quinto del totale) Diminuiscono, di anno in anno, anche gli ospedali che effettuano meno di 500 parti annui che, in base all’accordo Stato Regioni del 2010, dovrebbero essere già chiusi. Secondo l’ultima valutazione del PNE relativa al 2017, sono 89 (il 20% del totale) contro i 97 (il 21%) dell’anno prima: il 40,4% è situato al nord, il 23,6% al centro e il 36% al sud.

Queste strutture nel 2017 hanno effettuato appena 26.461 parti, pari al 5,76% dei parti totali (459.399 parti): un volume di attività piuttosto basso rispetto ai 297.211 (64,7%) parti dei punti nascita che ne eseguono più di 1000 e ai 135.727 (29,54%) parti degli ospedali che ne effettuano tra 500 e 1000. La buona notizia è che la percentuale di parti eseguiti in questi centri poco performanti sta calando progressivamente: nel 2012 era pari al 7,1% (37.523 parti) mentre nel 2017 è scesa al 5,76% (25.951 parti). In 5 anni si è registrata quindi una diminuzione del 30,8%.

Quanto alla percentuale di parti effettuati nelle strutture in linea con le direttive ministeriali (quelle che eseguono più di 1000 parti annui) sta lievemente aumentando: nel 2012 si attestava al 64,2% mentre nel 2017 è passata al 64,7%. Tra i limiti dei centri che eseguono meno di 500 parti annui c’è anche un elevato ricorso al parto chirurgico: delle 65 strutture di cui è possibile calcolare la percentuale di tagli cesarei (quelli cioè con volumi superiori a 220 parti), ben 59 (il 90,8%) superano il limite indicato dal ministero e solo 6 (9,2%) si mantengono sotto il valore di riferimento fissato al 15% (per le maternità che eseguono meno di 1.000 parti).

Per garantire una maggiore sicurezza, questi centri andrebbero accorpati o riconvertiti, ad esempio in ambulatori. Un discorso a parte va fatto per gli ospedali situati nelle valli o in montagna, località difficili da raggiungere, in cui dei punti nascita devono necessariamente esserci anche se i loro volumi di attività non sono in linea con gli standard”, spiega Grace Rabacchi, Direttore Sanitario dell’Ospedale Sant’Anna – A.O.U Città della Salute e della Scienza di Torino.

CLASSIFICA REGIONALE STILATA PER VOLUME DI PARTI (Fonte PNE 2018)

Le strutture pubbliche o private accreditate che nella Regione effettuano parti sono 27. Il 37% rispetta il valore di riferimento fissato a 1000 parti mentre il 18,5% non rispetta il valore minimo di 500 parti l’anno. Le 5 strutture che in Piemonte effettuano un maggior numero di parti sono:

1. Ospedale Sant’Anna – A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (n° parti: 7342) (cesarei: 18,12%) 1° in Italia

2. Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo (n° parti: 1910) (cesarei: 14,92%)

3. Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara (n° parti: 1871) (cesarei: 7,39%)

4. Presidio Ospedaliero Cardinal Massaia di Asti (n° parti: 1459) (cesarei: 20,29%)

5. Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino (n° parti: 1409) (cesarei 19,39%)

Tutte le strutture rispettano la soglia per quanto riguarda la percentuale di tagli cesarei primari, che devono mantenersi inferiori-uguali al 25%. (Le percentuali riportate si riferiscono ai dati del PNE aggiustati*).

*Dati del PNE aggiustati: nei rapporti del PNE viene effettuato un aggiustamento degli indicatori attraverso l’utilizzo di metodi di risk adjustment, che permettono di studiare le differenze tra strutture e/o aree territoriali (espresse in termini di Rischio Relativo) “al netto” del possibile effetto confondente della disomogenea distribuzione delle caratteristiche dei pazienti. Si tiene conto, cioè, delle possibili disomogeneità esistenti nelle popolazioni studiate, dovute a caratteristiche quali età, genere, gravità della patologia in studio, presenza di comorbidità croniche, ecc., fattori che possono agire come confondenti dell’associazione tra esito ed esposizione.