IL CASO |
Cronaca
/

Il neonazista all’albese

30 novembre 2019 | 08:51
Share0
Il neonazista all’albese

Nel cascinale in Langa dove vive aveva materiale di propaganda nazista, fucili e pistole, anche ad aria compressa, delle balestre, tirapugni, una katana, la spada dei samurai giapponesi e un fucile d’assalto M16 ad aria compressa. Il questore di Cuneo: “La sua attività avveniva online con i sodali del gruppo, non sul territorio”

Il 32enne pregiudicato albese coinvolto nell’indagine relativa alla costituzione di un partito nazista, xenofobo e antisemita, il “Partito Nazionalsocialista Italiano dei Lavoratori” nel cascinale in Langa dove vive aveva materiale di propaganda nazista, fucili e pistole, anche ad aria compressa, delle balestre, tirapugni, una katana, la spada dei samurai giapponesi e un fucile d’assalto M16 ad aria compressa. Il tutto è emerso durante la perquisizione effettuata nella sua abitazione dalla Digos di Cuneo insieme a Polizia Postale, artificieri e l’utilizzo delle unità cinofile. Il materiale è stato ovviamente sequestrato ed è stato giudicato interessante ai fini dell’inchiesta “Ombre nere” che al momento ha portato alla denuncia di 19 militanti di estrema destra per costituzione e partecipazione ad associazione eversiva e istigazione a delinquere.

L’inchiesta è nata per caso, poiché la Digos di Enna, che ha coordinato l’operazione “Ombre nere”, che si è svolta su scala nazionale, stava indagando su tutt’altro fatto: i colpi di pistola sparati l’anno scorso contro le finestre del centro migranti “Don Bosco 2000” di Pietraperzia. Così facendo è stato individuato un giovane della provincia che insultava i gestori della struttura, che è diventato il primo indagato dell’altra inchiesta, quella sui neonazi. Il ragazzo si chiama Carlo Lo Monaco, ha 30 anni, e ha grossi problemi di salute, dato che è un borderline, oltre che giudiziari, dal momento che si trova in carcere per aver assassinato il padre Armando. Da lui e i suoi contatti si è arrivati alla rete neonazista.

Altro aspetto da segnalare è il fatto che nata per caso, l’inchiesta è stata sul punto di saltare perché Francesca Rizzi, ormai nota a tutti come “Miss Hitler”, una delle principali indagate, aveva ricevuto una soffiata da parte di un amico poliziotto di Torino che l’aveva avvertita che era stata messa sotto controllo dai colleghi. Digos di Enna e Servizio antiterrorismo della polizia hanno  identificato la talpa che è risultata essere un assistente capo in servizio all’ufficio di gabinetto della questura di Torino che ora è indagato per rivelazione di notizie riservate e accesso abusivo a un sistema informativo.

Fortunatamente l’indagine è andata avanti fino a individuare la rete che si stava formando e a fermare quello che sarebbe risultato essere l’organizzatore della struttura, Pasquale Nucera, 59 anni, di origini calabresi e residente a Dolceacqua, in Liguria, ex legionario, esponente di spicco della ‘ndrangheta, un passato da collaboratore di giustizia e referente di Forza Nuova in Liguria.

Come detto, il nascente partito nazista aveva una struttura interna, responsabili territoriali, simbolo e programma dichiaratamente negazionista. Che sia così lo si comprende leggendo quello che ha dichiarato a un giornalista Antonella Pavin, l’ideologa del gruppo, la “sergente di Hitler”, dopo la visita della Digos nella sua casa di Curtarolo, vicino a Padova: “Non credo all’Olocausto, se è questo che vuole sapere. Non esistevano le camere a gas ad Auschwitz o in altri posti del genere. E nei campi di concentramento non si stava così male: c’erano perfino le piscine. Ci sono le prove di quel che dico… E poi… Prendiamo il Diario di Anna Frank: lo sanno tutti che è un falso. Fu scritto dopo la fine della guerra dal papà di quella ragazza, che era un banchiere ebreo che aveva mandato in rovina moltissime persone”.

Tornando all’albese finito nell’inchiesta, il questore Emanuele Ricifari ha dichiarato: “La Digos ha collaborato alle indagini svolte in tutta Italia, individuando un soggetto già noto. La sua attività avveniva online con i sodali del gruppo, non sul territorio”. Ora, visto il quantitativo di armi di vario genere che è stato sequestrato e dato che è stato dichiarato che l’organizzazione aveva una struttura interna, responsabili territoriali, simbolo e programma dichiaratamente negazionista, viene difficile pensare che l’albese facesse gruppo da solo e che non avesse altri insani compagni di avventura anche in provincia. E poi, “la sua attività si svolgeva online con i sodali del gruppo e non sul territorio”. E le armi, allora? Era solo un collezionista?