Il commento

Anna Mantini (Lega) interviene sulla vicenda dell’intervista di Porta a Porta che ha sminuito il dramma di una donna che ha rischiato di finire uccisa dal proprio ex ora libero per buona condotta

24 settembre 2019 | 11:14
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Anna Mantini (Lega) interviene sulla vicenda dell’intervista di Porta a Porta che ha sminuito il dramma di una donna che ha rischiato di finire uccisa dal proprio ex ora libero per buona condotta

“Bene hanno fatto i vertici della Rai a prendere le distanze dal conduttore e a schierarsi totalmente dalla parte di chi ha subito il tentato femminicidio”

La vicenda dell’intervista che il noto giornalista Rai Bruno Vespa ha realizzato alla signora Lucia Panigalli – sopravvissuta per miracolo al tentativo di femminicidio messo in atto dal proprio ex compagno ora in libertà – durante la puntata del 17 settembre del popolare programma “Porta a Porta”, rende necessarie alcune riflessioni, fermo restando che non intendo assolutamente entrare nel merito delle eventuali decisioni che saranno assunte dai vertici della Tv di Stato.

Al tempo stesso però mi sento in dovere di ringraziare prima di tutto l’Amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, per avere ribadito che la Televisione pubblica e “tutte le sue strutture – a cominciare da Porta a Porta – devono aderire alla linea editoriale dell’azienda che condanna fermamente la violenza di qualsiasi natura e in ogni forma e modo”, e che “la difesa e la tutela dei diritti delle Donne sono un principio imprescindibile e indiscutibile della Rai, su cui non sono mai tollerabili equivoci”.

Se anche il massimo vertice amministrativo della Radiotelevisione statale ha ritenuto di dover sgombrare il campo da ogni possibile malintesa interpretazione, a seguito della conduzione assai confidenziale che il giornalista Vespa ha impresso all’intervista con la signora Panigalli, questo vuol dire che qualcosa è comunque accaduto.

Scorrendo il video del dialogo fra il conduttore di Rai 1 e la vittima di un caso di violenza che dal 2010 a oggi sta scuotendo gran parte dell’opinione pubblica italiana – anche perché il potenziale femminicida è stato nel frattempo clamorosamente scarcerato per buona condotta e vive adesso a poca distanza dalla casa di Lucia costringendola ad avere una scorta – e leggendo i numerosi resoconti e commenti seguiti alla messa in onda di Porta a Porta, pare non solo a me evidente che alcune battute, pronunciate nei confronti della signora Panigalli, si rivelano immediatamente inopportune e una di esse addirittura agghiacciante, quando il conduttore in maniera testuale dice alla propria ospite che se (il suo ex) avesse voluto ucciderla, l’avrebbe fatto” e che, addirittura, lei dovrebbe ritenersi “fortunata” per essere ancora viva mentre altre donne vittime di violenza invece “vengono uccise”.

Quest’ultima frase, ed è molto triste doverlo ammettere, è lo specchio di un vizio originale del modo di pensare di molti influenti commentatori di questo Paese: siccome una persona è riuscita a scampare alla morte, a differenza di altre che erano nella sua stessa situazione, allora non è credibile. Esattamente le stesse accuse che, con identica volgare ironia, venivano indirizzate nei primi anni Novanta al compianto Giudice antimafia Giovanni Falcone, che sempre sulle reti Rai, in una trasmissione condotta dal giornalista Corrado Augias a inizio 1992, quasi veniva messo in colpa dal conduttore e da alcuni presenti in studio per essere “per fortuna ancora vivo”, al che egli rispose molto amaramente che “in questo Paese bisogna essere ammazzati per essere credibili”.

Quanto avvenuto su Rai 1 lo scorso 17 settembre è dunque la riedizione di luoghi comuni molto più radicati di quanto si pensi, che sono portati a negare o a ridicolizzare l’emergenza fino a quando non si manifesta. Come ho detto in più occasioni, il modo di comunicare in pubblico vicende gravi o delicate si riflette moltissimo sull’alto, o basso, livello di sensibilità e di attenzione nei confronti di fenomeni orribili come la mafia o il femminicidio: la TV pubblica e la Scuola hanno il compito di mettere in evidenza, davanti ai nostri ragazzi, senza equivoci, che la vittima è vittima e il carnefice è carnefice.

Sarebbe quindi molto importante poter assistere, in un giorno non più troppo lontano, a un’intervista in cui chi ha subito una violenza o una minaccia di morte non sia più definito una “persona fortunata o privilegiata” per il fatto di essere ancora vivo, come fosse una “colpa”, ma diventi per tutti noi un incentivo a vivere in una società dove quella violenza e quella minaccia non abbiano più cittadinanza e non siano più premiate per “buona condotta”.