Una parola può fare la differenza, il ricordo di Cesare Pavese nell’anniversario della morte

27 agosto 2019 | 18:45
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Una parola può fare la differenza, il ricordo di Cesare Pavese nell’anniversario della morte
Una parola può fare la differenza, il ricordo di Cesare Pavese nell’anniversario della morte
Una parola può fare la differenza, il ricordo di Cesare Pavese nell’anniversario della morte
Una parola può fare la differenza, il ricordo di Cesare Pavese nell’anniversario della morte

A 69 anni dalla scomparsa del famoso scrittore torinese, il ricordo dei cari nel giorno della tragedia. Una Torino calda, deserta e inospitale. Pavese tentò di chiamare i suoi amici, ma nessuno rispose…

Mi ricordo di una normale serata torinese. Erano le 20:30 di un giovedì di ottobre. Ero davanti a Porta Nuova, la principale stazione di Torino e a fianco a me c’erano degli studenti pronti a rincasare.

Davanti alla stazione una grossa scritta luminosa “HOTEL ROMA”. I neon rossi illuminavano le pietre dei portici. Hotel Roma è il luogo in cui, Cesare Pavese, ha trascorso la sua ultima notte 69 anni fa, prima di ingerire più di dieci bustine di sonnifero. Nessuna lapide, nessun fiore dall’ingesso. Forse per il motivo che cito dopo.

Nove giorni prima di morire (18 agosto, è morto il 27 agosto 1950, ndr) ha scritto nel suo diario (che verrà poi pubblicato con il titolo “Il mestiere di vivere”) una frase che non lascia spazio a interpretazione: “.. Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”.

Pavese è stato trovato morto nella stanza 49 quando, dopo aver ordinato una tazza di te al Bar dell’hotel, il cameriere ha sfondato la porta e lo ha trovato disteso con un libro sul comodino. “Dialoghi con Leucò”.

Sulla copertina, un messaggio, che diventerà poi famoso: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Ecco, forse, il perché del “silenzio” in quel luogo.

Immagino il caldo torinese di fine agosto, la desolazione nelle strade. Che brutto periodo per decidere di morire… Ma citando ciò che scriveva, tutto prende un senso: “che morte  –  non voler più morire”.

Cesare Pavese la sera stessa ha provato a chiamare Adriano Olivetti (imprenditore e politico di Ivrea) dal centralino dell’hotel. Assieme ad Adriano c’era anche l’amico Franco Ferrarotti (scrittore e sociologo, ndr) ma non erano, quel giorno, ad Ivrea bensì a Venezia. Il telefono squillava, quindi, invano.

In un’intervista intitolata “Grandi italiani” de “Il Corriere della Sera”, Ferrarotti dice: “Se fossi stato ad Ivrea – la sera in cui C. P. ha chiamato – magari sarebbe andata diversamente. A volte basta una parola”.

Anche Oreste Molina (direttore tecnico della Giulio Einaudi) racconta: “in quei giorni eravamo andati a fare il giro dei castelli della Loira. Siamo tornati il 29 e abbiamo saputo la notizia. Fossimo tornati qualche giorno prima magari non l’avrebbe fatto o l’avrebbe rimandato”.

Tutte le volte che passo davanti all’Hotel Roma mi viene in mente questa tragica storia. Cerco di raccontarla a chi è con me sotto i portici.
E ogni volta mi prometto di… “esserci”.

A volte una parola fa davvero la differenza.

intervista de “Il corriere della sera” : https://www.youtube.com/watch?v=XZgRnKxT-tg&t=289s
intervista “Cesare Pavese” – Ritratto, min 51 : https://www.youtube.com/watch?v=EVmCOU0u0KY&t=26s