la storia |
Società
/

Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo

7 aprile 2019 | 12:04
Share0
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo
Un palazzo principesco nel cuore di Cuneo

All’Hotel Lovera Palace sono passati anche Francesco I re di Francia, papa Pio VII, di passaggio a Cuneo quando venne fatto “arrestare” da Napoleone Bonaparte, e Paul David Hewson, alias Bono Vox, solo tre anni fa

Cuneo. «Ha ospitato persone come Francesco I, il re di Francia che invitò Leonardo da Vinci ad Amboise e lo pianse morente tra le sue braccia o papa Pio VII, di passaggio a Cuneo quando venne fatto “arrestare” da Napoleone Bonaparte. Fino a Paul David Hewson, alias Bono Vox, degli U2, tre anni or sono». È il Commendator Giorgio Chiesa, direttore dell’Hôtel Lovera Palace, originario di Santa Margherita Ligure e amico personale di George Clooney, che ce lo confida in una piacevolissima chiacchierata dedicata ai lettori di Cuneo24.

L’attuale sede del Grand Hôtel sorge sull’antico palazzo settecentesco dei Conti Lovera di Maria, a sua volta eretto su un preesistente edificio del Cinquecento. Fu sede della Banca d’Italia e successivamente del Cinema Nazionale, prima di essere interamente ristrutturato nel 1996.

È nei primi anni Duemila che l’attuale direttore ne prende le redini, dopo una notevole esperienza di lavoro e di vita. «Un hôtel è come un teatro – ci confida in un’analisi squisitamente pirandelliana – Vi sono i personaggi fissi, il personale, e le comparse, i clienti (noti e meno noti), con le loro storie più o meno ordinarie, ma che possono celarne altre totalmente insospettate».

Il nostro incontro si svolge sulle eleganti poltrone bianche della hall dell’hôtel dalle quali si alza spesso, con rispettosa cortesia, per le più svariate esigenze di clienti e personale. In meno di dieci minuti passa contemporaneamente dall’italiano, all’inglese, al francese. In prima linea, eppure capace di delegare: «Ho sempre considerato il mio lavoro come un triangolo equilatero – precisa – il cliente, io e il personale, l’azienda siamo tre lati uguali».

Lentamente, la sottile alchimia di un discorso compito e riservato, ma frizzante e intrigante, cede il passo ad un clima di cordiale confidenzialità. Giorgio Chiesa ci racconta di come discrezionalità e credibilità giochino un ruolo fondamentale nella buona gestione di uno stabilimento com’è il suo. «Bisogna considerare chi ci sta davanti – chiunque esso sia – come una persona da ascoltare nel vero senso della parola. Ascoltare più che parlare e, all’uopo, anticipare. In questo, la rete di conoscenze e relazioni professionali è indispensabile». Il suo motto potrebbe essere il dannunziano “Memento audere semper” (osare, sempre).

La prova? «Diversi anni fa, a Roma, mi arriva una cliente americana. Non una celebrità, ma una persona apparentemente ordinaria – se mi passa il termine. Mi dice di aver dimenticato il suo beauty case all’aeroporto di Chicago e mi chiede di ritrovarglielo perchè dentro ci sono i suoi farmaci. Ovviamente, come un buon diplomatico, non posso mai opporre un diniego. Missione impossibile?! Mi informo sui medicinali e, attraverso una mia conoscenza, verifico se la fornitissima farmacia vaticana ne fosse provvista. Macchè! Nulla. Niente di niente. Allora, mi affido alla rete – ma non quella di Internet [sorride]. Telefono ad un collega di New York e gli chiedo se gli fosse possibile trovarmi i famosi medicinali e farmeli recapitare tramite corriere DHL. Così, giocando anche sui fusi orari, la mattina dopo la mia cliente, esterrefatta, trovò i suoi farmaci!» Il direttore nota che abbandono la penna e lo guardo ammirato. Minimizza: «Oh, miracoli ordinari, mi creda! ».

Lui che ha conosciuto tanti personaggi famosi, da Giovanni Paolo II a Woody Allen, da Pavarotti a Paolo Villaggio (di cui fu il segretario), fino al principe Alberto di Monaco e Marina di Savoia, si ostina a trattare tutti come persone ordinarie, considerando però ciascuno come straordinario. Conclude: «Ebbene – l’ho scoperto soltanto dopo – quella signora non era niente di meno che la figlia del fondatore di una delle prime compagnie di assicurazioni americane! E da questo episodio ne è nata una grande amicizia personale».

Ci lasciamo con la complicità di chi ha condiviso un pochino l’intimità dell’altro. In guisa di monito, Giorgio Chiesa mi sussurra ancora: «E, si ricordi, ognuno ha una propria storia, come quella signora americana apparentemente tanto ordinaria… ».