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Oggi 27 gennaio, Giornata della Memoria: per non dimenticare

27 gennaio 2019 | 09:01
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Oggi 27 gennaio, Giornata della Memoria: per non dimenticare

“Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli”

Cuneo. “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Così recita il testo dell’articolo 1 della legge italiana che spiega cosa si ricorda nella giornata della Memoria.
La scelta del 27 gennaio si riferisce proprio al giorno in cui, nel 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa scoprirono il campo di concentramento di Auschwitz e liberarono i pochi sopravvissuti allo sterminio, rivelando al mondo intero l’assurdità e la follia del genocidio nazista e gli strumenti di tortura e di annientamento del lager.
La giornata della memoria è celebrata in molte nazioni, tra cui Germania e Gran Bretagna ed è riconosciuta anche dall’ONU in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.

Proprio per non dimenticare riportiamo una poesia simbolo di questa giornata.

Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Un testo di Primo Levi, chimico e partigiano torinese di origini ebraiche, ma soprattutto grande scrittore e intellettuale, autore di una delle più celebri opere sull’Olocausto. Primo Levi arrivò ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Al suo arrivo fu marchiato con il numero 174517, secondo la pratica che spogliava i detenuti della loro identità per sostituirla con il numero tatuato sul braccio. Fu poi spostato al campo Buna-Monowitz, dove, in quanto chimico, ottenne un incarico come specialista di laboratorio, posizione che gli permise di ottenere condizioni di vita meno faticose, rispetto agli atri detenuti, e gli diede accesso a materiale di contrabbando. Primo Levi fece del suo meglio per “tornare alla vita”, entrando in contatto con gli amici e i familiari sopravvissuti all’Olocausto e al conflitto, ma soprattutto scrivendo: si buttò a capofitto nella stesura di un’opera memorialistica in cui narrava l’esperienza della prigionia, non tanto per puntare il dito contro i colpevoli di quell’immensa tragedia, quanto piuttosto per tentare di capire, di spiegare, di trovare un perché a quanto era successo.

In comune con Levi l’ebreo partigiano di Cuneo Enzo Cavaglion aveva più di una cosa. Entrambi ebrei, entrambi partigiani e entrambi classe 1919. Il cuneese è mancato lo scorso 4 gennaio, era un punto di riferimento per la comunità religiosa in città, il prossimo giugno avrebbe compiuto cento anni. Enzo Cavaglion ha sicuramente scritto un pezzo importante della storia di Cuneo. Con Duccio Galimbertiaveva fondato la storica formazione partigiana; per il suo impegno venne ricordato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel 2001 in occasione del conferimento della medaglia d’oro alla città di Borgo San Dalmazzo.

Lo scorso anno Enzo Cavaglion fu insignito con il fratello Riccardo, morto nel 2013 in Israele, del riconoscimento che il Benè Berith di Milano conferisce agli ebrei che, a rischio della propria vita, hanno salvato correligionari durante la persecuzione nazi-fascista. In seguito alla sua morte, seguendo la tradizione delle comunità ebraiche, la memoria di Cavaglion sarà mantenuta viva dedicandogli un bosco in Israele, in accordo con la famiglia.

Levi, Cavaglion come tanti patirono le leggi razziali, vennero perseguitati. E’ giusto continuare a ricordarli sempre, in particolare in questa giornata istituita proprio per non dimenticare, affinchè anche le future generazioni possano onorarne la memoria.