Bra, licenziamenti Abet: CasaPound attacca

25 gennaio 2019 | 09:27
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Bra, licenziamenti Abet: CasaPound attacca

Striscione provocatorio del movimento di fronte allo stabilimento: “Industria 4.0: veleni per aria, lavoratori per strada”

Bra.  Dopo l’annuncio dei 112 esuberi da parte di Abet Laminati a Bra, si fa sentire CasaPound, che nella notte di ieri ha affisso uno striscione all’entrata dello stabilimento.

“Assistiamo sgomenti – interviene Fabio Corbeddu per la sezione provinciale di CasaPound Italia – e con grande apprensione per la sorte dei lavoratori dell’Abet all’incessante smobilitazione di risorse umane operata da molte fabbriche del nostro territorio. Una manovra strumentale ad ambiziosi progetti di investimento ma di fatto asservita ad una ben meno nobile ottica di massimizzazione del profitto, a scapito non solo delle maestranze locali, ma anche dell’ambiente circostante, cui l’azienda continua ad imporre “sacrifici” (vedasi in ultimo l’autorizzazione rilasciata dalla Provincia al “recupero” di rifiuti pericolosi nell’Inceneritore con capacità superiore a 10 Mg al giorno n. 2018/65970 del 10/09/2018)”.

“Riteniamo – prosegue Corbeddu – che ciò incrini quel necessario feedback tra la società civile ed un’impresa insediata nel medesimo contesto, dalla cui presenza giungono ormai risorse sempre minori rispetto a quelle necessarie a contrastare l’elevato impatto sociale ed ambientale di certe decisioni.
Le rassicurazioni dell’amministratore delegato sul punto non ci convincono: la “manovra” consiste nel licenziamento di 1 operaio su 4, quasi tutti – secondo le statistiche della Camera di Commercio – assunti a tempo pieno ed indeterminato”.

“Ci saremmo aspettati – conclude la nota di CasaPound – una posizione più determinata e, soprattutto, consapevole, da parte dell’amministrazione comunale; per quanto a parole si sia prevedibilmente schierata a fianco dei lavoratori, non si ha riscontro di particolari censure, da parte di chi ne è membro, sul dilagare del fenomeno c.d. “Industria 4.0″, il quale altro non contempla se non il supino recepimento di istanze euroglobaliste incentivanti la concorrenza di Paesi ove la manodopera ha diritti e costi minori e che trascina l’Italia nel baratro di una insidiosa gara al ribasso”.