La recensione di “Museo – folle rapina a Città del Messico” di Alonso Ruizpalacios

11 dicembre 2018 | 10:12
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La recensione di “Museo – folle rapina a Città del Messico” di Alonso Ruizpalacios

Una nuova rubrica alla scoperta del buon cinema, dei film in uscita, delle novità presentate ai festival con recensioni dell’esperto Mattia Bertaina del Cineclub Méliès di Busca

Ispirato a fatti realmente accaduti, “Museo” porta sullo schermo il colpo di Juan e Benjamin, due eterni studenti di Satelite, cittadina a pochi chilometri dalla capitale Città del Messico. É il giorno di Natale del 1985 e il Museo Nazionale di Antropologia sta per chiudere nelle festività causa lavori sul sistema di aerazione.

Un lavoro da maestri, per mano di due professionisti, che riescono a sottrarre con insolita abilità centoquaranta pezzi pregiati del periodo maya, tra cui la preziosa maschera del Dio Pakal. Quello che sembra essere il colpo della vita, l’azione che sistema le rispettive esistenze, si rivela in realtà una discesa agli inferi dalle conseguenze inaspettate.

Il giorno successivo, le testate di ogni dove, parlano di un attacco allo Stato da parte di vigliacchi che non hanno rispetto per le radici, per la cultura e per la storia messicana. L’opera seconda di Ruizpalacios, presentata a Berlino e vincitrice del Premio alla Miglior Sceneggiatura, mette in scena il disorientamento e l’instabilità di due giovani che non rubano per reale necessità ma per dare un senso a delle esistenze piatte e uguali ad ogni nuovo sorgere del sole. A dare il volto a Juan, mente ed elemento volitivo del colpo, Gael Garcia Bernal in un’ottima interpretazione, sospesa tra commedia, dramma famigliare, heist-movie.

Al suo fianco Benjamin (Leonardo Ortizgris), compagno remissivo e punto debole della piccola banda, costantemente messo all’angolo dal deciso e propositivo Juan. “Museo” propone un ritmo che mantiene alto il livello di interesse nello spettatore, con alcune meritorie trovate registiche: continui omaggi al cinema degli anni settanta, dall’audio fuori sincrono allo split screen, dalle citazioni dei thriller con Gene Hackman a C’era una volta in America di Sergio Leone, dettagli e particolari insistiti, primissimi piani.

Una riflessione sul mondo dell’arte, sul concetto di proprietà di un’opera (“Non esiste conservazione senza saccheggio”), sull’importanza di apprezzare qualcosa prima di perderlo; una storia che scava nei concetti di radice (famigliare e nazionale), orgoglio e di patriottismo, con una grana che ricorda le pellicole degli anni ottanta, gli anni in cui gli eventi sono accaduti.

Nel cast anche Simon Russell Beale nella parte del collezionista Frank Graves e Alfredo Castro nei panni del dottor Nuñez. Un’opera fresca, sorprendente, originale e ben girata.