CUCINA E DINTORNI

Tradizione, innovazione e poi di nuovo tradizione

10 luglio 2018 | 00:24
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Tradizione, innovazione e poi di nuovo tradizione

Fino alla scoperta dell’America e per molti anni successivi l’alimentazione europea era ben diversa da quella che conosciamo noi ora, e se si vuole andare ancor più a ritroso nel tempo, neppure certi legumi e certi cereali erano presenti se non dopo l’introduzione durante l’Impero Romano da parte degli Arabi.

Da sempre e per sempre i vegetali si spostano portati in forma di semi in giro per il mondo dagli uomini. Che questi spostamenti  fossero dettati da processi migratori dovuti a mutate condizioni climatiche o da vere e proprie colonizzazioni, l’uomo ha sempre portato con se ciò che riteneva buono e nutriente da mangiare ma ancor più portava con se qualcosa che lo identificava nella sua cultura o che lo rendeva attraente agli occhi altrui, come per esempio per le varietà esotiche.

Le rotte ed i viaggi nel passato erano principalmente dettati dalla ricerca di spezie, the e caffè da vendere poi a caro prezzo sulle tavole nobiliari europee, la scoperta dell’America fu d’altronde un caso fortuito nella ricerca di rotte migliori per le Indie.

Il cibo spostandosi diventa con il tempo tradizione, cultura. L’uomo ne acquisisce in tutto e per tutto l’identità fino ad essere associato ad esso, fino a divenirne parte.

Italiani e pasta al pomodoro sembrerebbe uno stereotipo presente da sempre ma ha meno di 200 anni, prima di allora la pasta non era così diffusa ed il pomodoro non veniva usato per condire cereali ed affini.

La polenta che per noi è fatta con la farina di mais ma per tutto l’evo antico,  il medio-evo e buona parte dell’evo moderno (si diffuse in maniera predominante in Italia del Nord solo dal 1700 in poi) era fatta con farine di cereali diversi: segale, orzo, grano. Così come gli gnocchi, impasto godurioso di patate lesse, farina e uova fino alla scoperta dell’America erano prodotti con sola farina ed acqua, talvolta uova.

Potremmo continuare raccontando delle zucchine, delle zucche, del peperoncino, dei peperoni e di molte varietà di fagioli e di tutti quei piatti che non avremmo sulle nostre tavole e nei nostri ricettari senza di esse. Ma anche delle melanzane arrivate dall’Asia o degli agrumi arrivati dall’Arabia.

Prodotti ora di uso comune ma sconosciuti poco più di 400 anni fa e che una volta introdotti faticavano a trovare la loro dimensione alimentare e colturale. Molte piante prima di passare nel piatto facevano bella mostra di se nei giardini come piante ornamentali, vedasi il pomodoro per esempio, oppure venivano usate in maniera scorretta, famosa è la leggenda che racconta come la patata venne utilizzata la prima volta alla corte dei regnanti francesi. Questi cucinarono le foglie per poi rendersi conto di quanto non fossero poi così buone, decisero così di bruciare le piante e fu poi un soldato che per puro caso scoprì la patata arrosto…

Altri prodotti invece venivano relegati all’alimentazione animale come il miglio per esempio, ora in voga nell’alimentazione naturale perché altamente digeribile e privo di glutine.

La cultura delle piante, delle loro storie e trasformazioni da parte dell’uomo (vedasi selezione genetica) è intrinseca nella nostra cultura di uomini, nelle nostre tradizioni-innovazioni.

Alla ricerca di cibo abbiamo costruito e combattuto imperi, creato alleanze e dichiarato guerre, costruito vascelli più veloci ma anche armi migliori. Nella ricerca del cibo per mantenere noi stessi e la nostra cultura abbiamo finito per modificarla, la nostra cultura e ritrovarci così diversi.

Tutt’ora la ricerca continua, con nuove tecniche colturali, nuove varietà alimentari, nuovi cibi.

Alta è la polemica ora sulla carne costruita in laboratorio e  sull’introduzione degli insetti nelle diete occidentali.

La storia del cibo dovrebbe dunque  ricordarci che nulla è immutabile e tutto è in continua evoluzione e spesso e volentieri siamo noi uomini fautori di questi cambiamenti e non tanto vittime come spesso crediamo sventolando una tanto cara tradizione che poi nient’altro non è che una costante evoluzione.