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Cultura
/A Peveragno presentato “Nel marsupio della storia” di Maria Abbebù Viarengo
15 maggio 2024 | 11:53
L’evento rientrava nella rassegna «Lib(e)ri» della «Compagnia del Birùn»
La Compagnia del Birùn con il patrocinio del Comune e della Biblioteca di Peveragno ha organizzato, giovedì sera 9 maggio (nei giorni del «Salone del libro» a Torino), nel Salone Ambrosino a Peveragno, la presentazione del libro «Nel marsupio della storia – Italiani d’Etiopia», di Maria Abbebù Viarengo, «Funambolo edizioni». Ha moderato il giornalista peveragnese Fabio Rubero. Il pubblico (ingresso libero) è stato ottimo, di questi tempi, per questo tipo di momenti: una trentina di persone.
Il libro, presente anche al Salone del libro di Torino, apre la strada al nuovo spettacolo originale e autoprodotto dalla Compagnia del Birùn dal titolo «Futuro remoto», a cura delle registe Gabriella Bordin e Elena Ruzza, che debutterà a Peveragno il 14 e il 15 giugno e affronterà il tema controverso e spesso molto poco conosciuto della colonizzazione italiana in Africa. Maria Abbebù Viarengo sarà tra le attrici in scena, portando parte del suo vissuto, racchiuso in modo lucido ed emotivamente coinvolgente nel suo memoir che ha inizio tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, quando un giovane italiano, Alberto Prasso, parte da un paesino del Piemonte.
«Ha un sogno Alberto: trovare l’oro e aprire una miniera. Ci prova in America, poi in Sudafrica e infine riesce a realizzare il progetto in Etiopia, dove diventa amico del re Menelik e ottiene le concessioni necessarie. Nel 1928, suo nipote Oreste e altri parenti lo raggiungono in Africa per affiancarlo nell’attività. Poi, la guerra. L’Italia fascista invade l’Etiopia: gli italiani che vivono lì subiscono gli effetti di una efferata invasione militare, divisi tra il senso di appartenenza al Paese che li aveva accolti e l’obbligo imposto dalla Madrepatria di prendere le armi contro gli etiopi, divenuti ormai loro amici, collaboratori, compagni e compagne di vita. Alcuni di loro, tra cui lo stesso Oreste, decidono di restare, barcamenandosi tra l’inumanità delle leggi razziali e dell’invasione bellica italiana – perpetrata attraverso mezzi atroci, come l’uso di gas tossici – e la volontà di radicarsi sempre più profondamente in un Paese che amano, tra gente che amano. È un “memoir” ricco di riferimenti storici ma al contempo pieno di pathos, dove emerge vivida e dirompente la sensazione di sospensione tra due mondi lontani, entrambi da amare e domare, dove le vite di uomini e donne si incontrano in una esplosione di emozioni, profumi, perdite e ricongiungimenti. Maria Abbebù Viarengo, figlia di Oreste – nata e vissuta in Etiopia e in Italia – traccia, in dialogo con suo padre, un filo delle tante storie nella Storia, restituendoci in maniera chiara e concreta i fatti avvenuti: testimone di un’Etiopia ricca di tradizioni travolta dall’incontro culturale con l’Occidente. Per restituire ciò che ancora è occultato nel Marsupio della storia».
La Viarengo è cresciuta in Etiopia, sin alla fine del regno del Negus, dopo la quale la situazione degli italiani, col nuovo regime guidato da Menghistu, peggiorò. Di padre italiano (e madre oromo), ha sempre studiato in scuole dove si insegnava la nostra lingua e la nostra storia, evitando, magari, di approfondire troppo i discorsi sul colonialismo, tanto da non conoscere persone come i comandanti militari, sconfitti a fine Ottocento agli «Abissini», Toselli e Baratieri cui pur ancora eran dedicate località, nella sua gioventù…
Son vicende che dimostrano come ogni «incontro di civiltà», di fondo, divenga anche uno «scontro», ma come ogni «scontro» finisca per configurarsi anche come «incontro», per fortuna…